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Teheran accusa gli Usa: “Violato il nostro spazio aereo”

Sarebbe un “drone spia americano” quello che i Guardiani della rivoluzione iraniana – le forze militari istituite dopo la Rivoluzione Khomeinista del 1979 – hanno dichiarato di aver abbattutto qualche giorno fa. A riferirlo sono stati gli stessi pasdaran, che ne hanno parlato all'emittente Press Tv, specificando che il velivolo, un drone RQ-4 Global Hawk, avrebbe sorvolato i cieli sopra Kouh-e Mobarak, una città a pochi chilometri dal porto di Jask, nel Golfo Persico. Al momento gli Stati Uniti non hanno rilasciato commenti realtivi a tali dichiarazioni.

Il precedente

Se fosse confermata la mano statunitense, si tratterebbe del secondo abbattimento di un drone made in Usa per  aver violato lo spazio aereo mediorientale. Domenica scorsa, fonti vicine ai ribelli yemeniti Houthi avevano annunciato la distruzione, con l'appoggio delle forze iraniane, di un drone statunitense “modello Reaper” coinvolto in un raid aereo. Le forze di Difesa americane avevano subito replicato che il drone colpito era un MQ-4C, sottolineando che, in quel caso, il velivolo si trovava in spazio aereo internazionale, non iraniano. 

Il braccio di ferro tra Iran e Usa

L'incidente s'inserisce in un contesto di forti tensioni tra l'Iran e gli Stati Uniti, acuite dall'attacco alle petroliere nel Golfo di Oman, a seguito del quale gli Usa hanno accusato Teheran pubblicando delle foto che mostrerebbero il coinvolgimento delle forze iraniane. Washington ha ribadito di non volere la guerra, ma ha, altresì, specificato la necessità di “proteggere gli interessi degli Usa”. In una riunione a porte chiuse, tenutasi il 13 giugno presso la sede del Commando centrale statunitense, il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, ha dichiarato: “Siamo lì (in Iran, ndr) per scoraggiare l'aggressione” per poi aggiungere che “dall'inizio di maggio a oggi, ci sono stati oltre una mezza dozzina di diversi casi di attacchi iraniani nella regione”. Rohani, dal canto suo, ha respinto le accuse, sottolineando che nel Paese prolificano “numerosi crisi” che attentanto all'integrità del contesto socio-politico. Al summit dell'Organizzazione della cooperazione di Shangai, tenutosi una settimana fa in Kirghizistan, il presidente iraniano non ha, tuttavia, risparmiato una dura sferzata a Washington, sottolineando che “l'amministrazione Usa, usando i suoi strumenti economici, finanziari e militari, ha adottato una politica aggressiva ed è diventata una seria minaccia per la stabilità della regione e del mondo”. 

Lo stretto dell'oro nero

Perché l'incidente delle due petroliere ha rischiato di generare un impasse diplomatico? L'attacco ha portato alla ribalta lo Stretto di Hormuz, il punto nevraligco che collega il Golfo di Oman e il Golfo Persico. Oltre a rappresentare una delle vie di comunicazioni più importanti, il canle svolge un ruolo essenziale nel trasporto delle fonti energetiche prodotte in Medio Oriente. È stato stimato che, su 100 milioni di barili di petrolio prodotti a livello mondiale, 17,4 milioni passino attraverso lo Stretto di Hormuz: l'area funge da collante per i maggiori Paesi produttori, fra cui Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Iraq. Lo stretto è anche importante per il trasporto di gas naturale prodotto, in larga misura dal Qatar. Data la sua posizione strategica, l'intera area rischia di essere al centro di Paesi che ne auspicano un maggiore controllo. Davanti alla prospettiva di un blocco dei barili, di recente l'Iran ha minacciato di voler chiudere lo stretto, ma un'azione di questo tipo scatenerebbe una crisi internazionale che tutti i Paesi sembrano voler scongiurare. In una riunione indetta dal Consiglio dell'Onu all'indomani dell'attacco nell'Oman, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha dichiarato: “Se c’è una cosa che il mondo non può permettersi è un confronto di grandi dimensioni nella regione del Golfo”.

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