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Tagli all'istruzione: il Brasile si mobilita

Si estende a macchia d’olio la protesta degli studenti brasiliani contro i tagli alle risorse per la pubblica istruzione annunciati dal governo di Jair Bolsonaro. Da due settimane si svolgono manifestazioni con decine di migliaia di partecipanti in tutto il Brasile. I cortei si sono svolti in maniera violenta soprattutto a Brasilia dove ci sono stati arresti e tafferugli tra dimostranti e polizia. Il ministero della Pubblica istruzione ha rilasciato una dichiarazione per incoraggiare i cittadini a denunciare “insegnanti, dipendenti, addetti, studenti, genitori e tutori” che incitino alla protesta durante l'orario scolastico. La presa di posizione del governo è stata duramente criticata da studenti ed entità politiche. “L'obiettivo della nota del ministero chiaramente è quello di intimidire la legittima partecipazione degli studenti alle mobilitazioni”, ha sostenuto il senatore del partito Rede, Randolfe Rodrigues. Studenti e insegnanti continuano a scendere in piazza per le giornate di mobilitazione contro i tagli all'istruzione. A Brasilia 2mila persone si sono riunite nella simbolica spianata dei ministeri.

Momento nero per l’esecutivo

Manifestazioni si susseguono nelle metropoli e nei centri minori del Paese. Nell’evento più affollato sono scese in piazza un milione e mezzo di persone in oltre 200 città di tutti gli Stati brasiliani. Il presidente ultraconservatore Jair Bolsonaro aveva trattato gli studenti con un certo disprezzo, definendoli “idioti utili a farsi manipolare da una minoranza di esperti che costituisce il cuore delle università federali del Brasile”. Decine di migliaia di sostenitori di Bolsonaro hanno manifestato in tutto il Paese per portare il loro sostegno al capo dello Stato e per chiedere che il Parlamento approvi in fretta le riforme. La mobilitazione degli studenti è dovuta all'annuncio del congelamento di 5,1 miliardi di reais (circa 1,16 miliardi di euro) nel bilancio dell'istruzione. Ciò riguarda, in particolare, le università federali, che potrebbero avere il 30% in meno di finanziamenti per le loro spese operative. E’ un momento particolarmente difficile per l’esecutivo, più volte sconfitto in Parlamento. Il Senato brasiliano ha confermato il suo decreto di ristrutturazione dell'esecutivo, ma trasferendo dal dicastero della Giustizia a quello dell'Economia l'organismo responsabile del monitoraggio legale del mercato finanziario, contrariamente al desiderio del ministro della Giustizia ed ex magistrato simbolo delle inchieste anticorruzione, Sergio Moro. Per 70 voti contro 4, la Camera alta ha dato il suo assenso al decreto con il quale Bolsonaro aveva riformato il suo gabinetto ministeriale – che rischiava di essere vanificato se il Parlamento non lo approvava entro il 3 giugno – mantenendo però il Consiglio di controllo delle attività finanziarie (Coaf) nell'orbita del dicastero dell'Economia. La camera bassa ha già varato la riforma. Moro aveva insistito molto sulla necessità di trasferire il Coaf alla Giustizia, giacché considera l'analisi delle informazioni finanziarie uno strumento cruciale per la lotta contro la corruzione politica. Bolsonaro aveva scritto al presidente del Senato chiedendogli che questa riforma fosse mantenuta, ma ha comunque avvisato che se non lo fosse non imporrebbe il suo veto presidenziale sulla decisione dell'alta camera. La sconfitta sul trasferimento del Coaf si aggiunge alle tensioni già esistenti fra Bolsonaro e il Parlamento, dove le riforme considerate più importanti dall'esecutivo – in primis quella delle pensioni – non riescono ad andare avanti a causa della mancanza di una maggioranza autonoma che appoggi il governo.

Il primo calo del Pil dal 2016

Per la prima volta dalla fine del 2016, l'economia del più grande Paese sudamericano è sull'orlo della recessione: in Brasile il Pil è calato dello 0,2% nel primo trimestre rispetto al quarto trimestre 2018. Questi dati, in linea con le stime degli analisti, testimoniano per gli osservatori la fragilità dell'economia leader dell'America Latina, nonostante le aspettative di un mercato che aveva euforicamente accolto con favore l'elezione del presidente Jair Bolsonaro. Tecnicamente, si parla di recessione quando il Pil cala per due trimestri consecutivi e il Brasile, con oltre 13 milioni di disoccupati, vi è quindi molto vicino, avendo registrato una crescita quasi nulla (+0,1%) nell'ultimo trimestre del 2018. Il Pil brasiliano era sceso del 3,5% nel 2015, poi del 3,3% nel 2016: fu una crisi storica dalla quale il Paese non si è evidentemente ancora ripreso, visto che la crescita è stata di appena l'1,1% sia nel 2017 che nel 2018. Anche l'esecutivo è meno ottimista, avendo rivisto al ribasso le previsioni per il 2019: il governo prevede ora una crescita dell'1,6%, contro il 2,5% di inizio anno. Resta da capire ora come si muoverà Bolsonaro visto che il suo provvedimento sulle pensioni, considerato la chiave per sbloccare altre riforme economiche e risanare le finanze del Paese, è ora all'esame del Congresso ed è al momento arenato.

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