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Spot elettorali: giro di vite di Facebook

Facebook si prepara ai prossimi appuntamenti elettorali per scongiurare un nuovo Russiagate. In Nigeria, dove il 16 febbraio si terranno le Presidenziali, solo le persone che dimostrano di risiedere nel Paese potranno pubblicare inserzioni elettorali, hanno spiegato due manager di Facebook a Reuters.

Elezioni

Stessa cosa in Ucraina, che andrà alle urne il 31 marzo. In India, al voto in primavera, gli spot elettorali e i loro acquirenti saranno inseriti in un archivio online consultabile che sarà conservato per sette anni. Anche in Ue, in vista del voto di maggio, saranno adottate misure volte a garantire la trasparenza e l'acquisto di spot da parte di persone ed enti legittimati a farlo. L'approccio diversificato in base ai Paesi è solo temporaneo. L'obiettivo, spiegano i manager, è “arrivare ad una soluzione globale“, con strumenti validi per tutte le nazioni, che saranno introdotti entro fine giugno.

L'inchiesta

Le nuove politiche di Facebook sono un effetto del Russiagate, cioè dell'inchiesta sulle interferenze di Mosca nelle elezioni che hanno portato Donald Trump alla Casa Bianca a fine 2016. L'inchiesta avrebbe dimostrato l'esistenza di una fabbrica russa di troll che ha pubblicato spot elettorali su Facebook, Twitter e Google per orientare il voto americano. In seguito allo scandalo, le autorità di diversi Paesi hanno fatto pressione su Facebook e le altre piattaforme coinvolte, chiedendo l'introduzione di misure in grado di porre un freno alle interferenze straniere nelle elezioni.

Giganti del web

Anche Google due mesi fa ha annunciato nuove regole per le Europee: chi compra spazi per spot elettorali dovrà indicare la residenza e specificare chi sta pagando l'inserzione. Google inoltre collaborerà con gli organi di stampa dei 27 Paesi Ue per sostenere il fact checking online contro le bufale. Per contrastare le fake news elettorali, Facebook – secondo il New York Times – avrebbe allestito una “war room“. Anche Twitter è della partita: a ottobre ha pubblicato una lista di 10 milioni di tweet legati a campagne di disinformazione, così da favorire indagini indipendenti.

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