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Sotto le bombe: la testimonianza di una donna siriana

Nella notte fra venerdì e sabato Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna hanno fatto scattare il raid militare in rappresaglia al presunto uso da parte del regime siriano di armi chimiche contro la popolazione civile. Il Pentagono ha fatto sapere che almeno 120 missili sono stati lanciati contro tre obiettivi sulla città di Damasco. Questo, nonostante finora non ci siano prove ufficiali sull'impiego di armi chimiche nella strage compiuta nella regione del Ghouta. Per conoscere l'esatta dinamica degli eventi, bosognerà attendere la risposta del team dell'Organizzazione internazionale per la proibizione delle armi chimiche.

La crisi siriana ha avuto inizio il 15 marzo 2011 a Damasco con le prime dimostrazioni pubbliche contro il governo centrale del presidente Bashar al-Assad, parte del contesto più ampio della cosiddetta primavera araba, per poi svilupparsi in rivolte su scala nazionale e quindi in vera e propria guerra civile a partire dall'inizio del 2012; il conflitto è ancora in corso.

Per conoscere il punto di vista di chi vive in prima persona il dramma di una guerra iniziata ormai da 7 anni, In Terris ha intervistato Myriam (nome di fantasia), un'insegnante siriana che vive in Italia da oltre un decennio. 

Myriam, che vita facevi in Siria?
“In patria facevo l’insegnante, vivevo bene e non mi mancava nulla. Poi mi sono sposata con un italiano e mi sono trasferita nel Bel Paese”.

Hai parenti che abbiano vissuto i bombardamenti di venerdì notte?
“I miei parenti sono 8 anni che vivono sotto le bombe! I miei genitori e mio fratello vivono ad Aleppo, mentre ho dei cugini a Damasco”.

Sei riuscita a parlare con loro dopo il raid?
“No. Sono 7 anni che non rientro in Siria: dall’inizio della guerra. Coi miei familiari parlo a volte al telefono, ma loro cercano di raccontarmi il meno possibile per non farmi preoccupare. Però su Facebook mi arrivano le notizie in arabo di quello che succede realmente lì”.

Hai scoperto qualcosa?
“Sì. Dai social per esempio – e non dai miei parenti – ho saputo che anche la casa dei miei genitori è stata distrutta da un bombardamento, così come tutto il quartiere dove vivono”.

Come vivono – o sopravvivono – le persone comuni?
“Malissimo perché non c’è più niente. Hanno bombardato tutto e la gente vive di carità e della protezione del Signore”.

Tu sei cristiana?
“Sì, sono cristiana”.

Come riescono i tuoi parenti a sopravvivere in realtà come Aleppo o Damasco?
“Non me lo dicono. Non so come fanno a mangiare, a bere … credo che vivano solo per miracolo. Non solo loro, ma anche tutti quelli che sono rimasti in quelle zone e non sono scappati in altre nazioni, perché in Siria manca anche il minimo indispensabile: non hanno acqua potabile, né corrente elettrica né medicinali”.

Secondo te, chi sono i ribelli?
“Sono mercenari che vengono da fuori”.

Non sarebbero dunque siriani?
“No. A mio avviso, sono combattenti professionisti pagati dalle nazioni più potenti del mondo. I giornali non ne parlano perché le notizie che arrivano in occidente non sono sempre vere. Tutta l’Europa è stata ingannata. Ma noi che viviamo e veniamo dalla Siria sappiamo la verità, come si viveva lì prima dell’inizio della guerra”.

Quale sarebbe la verità?
“La verità, secondo il mio punto di vista, è che in Siria sotto gli Assad – prima il padre e poi il figlio – vivevamo benissimo, non mancava niente a nessuno”.

Ma nel 2011 qualcosa è cambiato. Come hai vissuto la Primavera Araba?
“Con molta preoccupazione per la mia gente. Perché nelle guerre e negli scontri muoiono soprattutto gli innocenti, la povera gente. Mentre i potenti sono protetti e nessuno fa loro del male. Il popolo è quello che muore. Migliaia e migliaia di vittime: chiese, ospedali, case, città andate interamente distrutte. Chi ci rimette è sempre il popolo; i politici per esempio sono ancora tutti vivi”.

Che cosa speri per la Siria?
“Spero che ritorni tutto come prima della guerra. Ma ormai i morti sono morti. Le case non ci sono più, il Paese è in ginocchio. Per rimetterlo in sesto ci vorranno forse dei decenni”.

In questo conflitto hai perso dei cari?
“Sì, purtroppo tantissimi”.

Quanti?
“Tra parenti, amici, conoscenti stretti e colleghi in questi 7 anni ho perso almeno 200 persone”.

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