In Siria un militante di fede cristiana, membro della comunità assira, avrebbe decapitato un jihadista del sedicente Stato islamico (Isis) per vendicare le stragi commesse dal gruppo terroristico contro le minoranze religiose nel nord est del Paese. A riferire l’inconsueta notizia, è stato l’Osservatorio siriano per i diritti umani, citato dalla tv satellitare al-Arabiya. L’episodio si sarebbe verificato ieri nella provincia siriana di al-Hasaka, zona in gran parte controllata dall’Isis.
L’attivista cristiano, impegnato a combattere l’Isis nei Consigli assiri, alleati delle milizie curde che all’inizio del mese hanno contribuito a respingere i jihadisti da alcuni villaggi assiri di al-Hasaka, avrebbe incontrato la sua vittima nel villaggio di Tal Shamiram, lo avrebbe fatto prigioniero e lo avrebbe poi decapitato per vendicare gli abusi commessi dal suo gruppo nella regione.
L’Isis, da parte sua, non retrocede nella sua tattica del terrore. Nella città siriana di Kobane – località situata al confine con la Turchia e a maggioranza curda – i miliziani jihadisti hanno decapitato i corpi delle loro vittime per poi imbottirli con 20 Kg di esplosivo e 500 cuscinetti a sfera in acciaio, trasformando così quelle povere salme in vere e proprie bombe pronte a saltare in aria non appena qualche soccorritore o civile si avvicinasse.
A rivelare questa ennesima raccapricciante svolta nella battaglia jihadista, è Handicap International, una Ong che si occupa anche dello sminamento di Kobane. Uno dei responsabili dell’associazione è Frederick Maio che racconta la situazione attuale: “Quello che dobbiamo fare e quello che la popolazione ha accettato è trattare ogni corpo come sospetto. Anche se non sono una trappola esplosiva, ci sono stati così tanti incidenti che ora vengono toccati molto raramente. Quello da fare quanto prima è privilegiare la rimozione delle mine nelle zone residenziali, per permettere alla popolazione di riprendere le proprie attività”.
Kobane era stata conquistata dall’Isis che poi aveva dovuto abbandonarla a gennaio dopo l’avanzata dei combattenti delle Unità di protezione del popolo curdo (Ypg) e dei peshmerga, sostenuti dai raid aerei della coalizione internazionale a guida Usa. Quella che i jihadisti hanno lasciato alle loro spalle, però, è una città devastata, danneggiata per il 70% delle sue abitazioni e in cui sono presenti, secondo l’Ong, una “densità e una varietà di residuati bellici che non è quasi mai stata vista prima”.