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Siria, i Turchi attaccano nella notte. E ora?

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E'bastato il via libera degli Stati Uniti perché la Turchia iniziasse la sua operazione militare nella Siria settentrionale, come prospettato. E così, ora Ankara ha deciso di fare sul serio e, nella notte, ha inviato rinforzi alle unità stanziate lungo il confine siriano. Secondo l'emittente Al Jazeera, si tratterebbe di un aiuto per rafforzare il confine nel nord del Paese ma, come ha riferito l'agenzia governativa di Damasco Sana, nella notte le truppe di Ankara hanno colpito la zona confinante con l'Iraq, come dimostrano le foto e i video dei bombardamenti. Finora la notizia, stando a quanto riferisce l'Ansa, non ha trovato conferma da alcuno schieramento. 

La Turchia: “Non cediamo alle minacce”

Già ieri, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha voluto chiarire la sua posizione in merito. Dopo aver “ridimensionato” il numero delle truppe statunitensi deputate al ritiro – per un massimo di circa 100 unità – da Washington hanno messo la Turchia in guarda da un eventuale choc economico turco nel caso di forti ingerenze di Ankara nella questione siriana. Alla vigilia della terza operazione turca in tre anni, il vicepresidente del Paese, Fuat Oktay, ha risposto a Trump: “Non cediamo alle minacce di nessuno […] il nostro messaggio è chiaro. La Turchia non è un Paese che agisce sotto minaccia”. Ieri dalla Seria, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha fato sapere che i contingenti statunitensi avevano appena iniziato le operazioni di ritiro. Alcuni video mostrerebbero dei convogli in procinto di abbandonare l'area, alcuni raggiunti dai curdi che implorano una loro presenza contro la minaccia turca.

I curdi: “Gli Usa ci hanno tradito”

Intanto, la risposta dei curdi siriani non si è fatta attendere. In un comunicato diramato ieri, le Forze democratiche siriane hanno fatto sapere: “Non esiteremo a trasformare qualsiasi attacco (turco) non provocato in una guerra totale”. Attraverso le Unità di protezione dei popoli (Ypg), i combattenti curdi controllano parte dell'area interessata dalle mire di Ankara. Per questo, gli stessi curdi non hanno esitato a puntare il dito contro gli Stati Uniti. Il loro portavoce, Mustafa Bali, ieri ha scritto in un tweet: “Nonostante l'accordo sul meccanismo di sicurezza e la conseguente distruzione delle nostre fortificazioni, le forze Usa non hanno rispettato le loro responsabilità e hanno iniziato a ritirarsi dal confine, lasciando che l'area si trasformi in una zona di guerra. Ma le Forze siriane democratiche sono determinate a difendere il nord-est della Siria a ogni costo”. L'accordo sul meccanismo di sicurezza, stipulato fra Turchia e Usa, avrebbe previsto una zona di sicurezza nel nord-est della Siria, ma a detta dei curdi le promesse non sono state mantenute. 

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L'Onu: “Siamo pronti al peggio”

Da Ginevra, il coordinatore umanitario delle Nazioni Unite per la crisi siriana, Panos Moumtzis, ha fatto sapere che l’Onu “spera il meglio ma si prepara al peggio”. L'Onu ha, dunque, rivolto un accorato appello alla Turchia perché siano risparmiati i civili durante gli attacchi e siano, altresì, sventati gli sfollamenti di massa e “le uccisioni stile Srebrebnica”. Oggi in Siria vivono quasi 2 milioni di persone, di cui oltre 700.000 assistite dalle Nazioni Unite. I pieni di emergenza approntati finora, dai campi profughi all'aiuto per gli sfollati in esodo nel nord hanno rivelano le difficoltà delle operazioni in luoghi martoriati. Contrariamente a quanto avevano prospettato all'inizio Washington ed Ankara, le Nazioni Unite sono scettiche sulla presenza di una zona di sicurezza nel nord della Siria: il timore è – come evocava l'Alto funzionario Moumtzis – che si verifichi una nuova Srebrenica, facendo riferimento al massacro del '95, in cui le truppe serbo-bosniache massacrarono circa 8.000 uomini e adolescenti musulmani proprio nella zona di sicurezza controllata dai pacekeeper olandesi. L'attacco d'artiglieria di questa notte non prospetta, dunque, nulla di buono.

Marco Grieco: