Decine di jihadisti sono stati uccisi e feriti in Siria durante un attacco dell’esercito contro due località nei pressi del confine con il Libano. A riferirlo è stata al-Manar, la tv del movimento sciita libanese Hezbollah, alleato del regime di Damasco. Secondo l’emittente, le forze siriane hanno colpito “gruppi armati” nelle città di Assal al-Ward e al-Jobeh, situati a nord di Damasco. Al-Manar ha precisato che le truppe hanno preso il controllo di alcune colline in precedenza nelle mani dei jihadisti.
Ieri aveva avuto luogo nella stessa zona un altro duro scontro a fuoco tra i miliziani di Hezbollah e quelli del Fronte al Nusra, nel quale erano rimasti uccisi 15 jihadisti e avevano riportato ferite due combattenti di Hezbollah. In precedenza al Nusra, insieme ad altre forze ribelli alleate, aveva lanciato una serie di attacchi contro le posizioni di Hezbollah e dell’esercito di Bashar al Assad nell’ovest della Siria. Le violenze si erano poi propagate nelle ore successive all’interno del territorio libanese, con una sparatoria registrata a Baalbek, durante il funerale di un combattente del Partito di Dio, rimasto ucciso in Siria.
Il Libano è più che mai il crocevia del caos: senza presidente dal 25 maggio 2014 (perché nel fragile sistema istituzionale libanese la carica di Capo dello Stato spetta a un cristiano e i cristiani dei due blocchi rivali, la coalizione filo-saudita “14 Marzo” e il blocco “8 Marzo” capitanato dagli sciiti filo-iraniani di Hezbollah, non riescono a trovare un nome condiviso), il Paese dei Cedri tiene botta da due anni alla pressione dei profughi siriani giunti ormai a quota un milione e mezzo (su 4,5 milioni di abitanti). Tra lo stallo istituzionale, aggravato dalla decisione del Parlamento di rinviare ulteriormente le elezioni legislative fino al giugno del 2017, e la minaccia demografica dei rifugiati (in stragrande maggioranza sunniti in un paese con una crescente popolazione sciita), la sensazione diffusa è di sedere su una mina inesplosa.