Continuano le violenze in Siria dopo l’interruzione della tregua. Una organizzazione di soccorso medico ha reso noto che quattro membri del suoi staff sono stati uccisi in un attacco a una sua struttura in Siria. L’International Union of Medical Care and Relief, ha spiegato che un raid, ieri sera, ha colpito un suo centro appena fuori la città di Aleppo. L’Osservatorio per i diritti umani sottolinea che le vittime sarebbero 13: oltre ai quattro tra infermieri e paramedici ci sarebbero anche nove combattenti ribelli, alcuni dei quali appartenenti al gruppo Fatah al-Sham, legato a al Qaida.
Nella giornata di martedì 20 settembre un convoglio umanitario è stato colpito dai raid e 12 persone hanno perso la vita. L’episodio è diventato oggetto di un’indagine degli Stati Uniti che accusano la Russia del bombardamento. Dall’inchiesta emergerebbe anche come sia le autorità di Damasco che quelle di Mosca fossero state avvisate in anticipo della presenza del convoglio di aiuti nella zona che poi è stata colpita.
“Il cessate il fuoco non è morto”, ha affermato il segretario di Stato americano, John Kerry, dopo essere tornato ad incontrare a New York il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov. Le stesse parole sono state usate dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, anch’egli a New York per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ma, a distanza di 11 giorni dall’accordo tra le due superpotenze che aveva portato alla tregua e fatto rinascere le speranze di una soluzione diplomatica al conflitto, il deterioramento della situazione sul terreno sembra lasciare poco spazio all’ottimismo. E a pesare sono anche i toni sempre più accesi proprio tra Mosca e Washington, specie dopo il bombardamento della Coalizione internazionale a guida americana che sabato ha ucciso decine di soldati siriani in una base a Deyr az Zor.