Sessions no, Pruitt sì: la decisione di Donald Trump di invitare il capo dell'Epa piuttosto che l'attorney al summit di Camp David, dove si parlerà delle strategie politiche in vista delle elezioni del 2018, suona quantomeno particolare. Le congetture fatte fin qui, tra mancato invito e rapporti tesi (non da un giorno), porterebbero a pensare come il ministro della Giustizia inizi a vedere pericolosamente vacillare la sua poltrona. E' vero che, in estate, era stato lo stesso Sessions a manifestare la volontà di dimettersi e, anche se già allora il rapporto fra lui e il presidente non era idilliaco, Trump aveva rifiutato la sua lettera. Le tensioni, però, sono tutt'altro che scemate negli ultimi tempi: il Tycoon non ha mai perdonato all'attorney di essersi astenuto dalle indagini sul Russiagate dopo il licenziamento di James Comey, una scelta che, secondo il presidente, avrebbe di fatto imposto il procuratore speciale Mueller a capo dell'inchiesta.
La richiesta di dimissioni
E' in questo contesto che, al pari di altri, era emerso il nome di Scott Pruitt, dirigente dell'Epa che, secondo quanto riferito da alcune testate (tra le quali 'Politico'), avrebbe mire proprio al ruolo di ministro. Nelle concitate fasi post-dimissioni (comunque rifiutate), il nome emerso era stato quello di Rod Rosenstein ma non quello di Rudolph Giuliani il quale, anzi, aveva affermato che secondo lui Sessions “ha preso la decisione giusta”. Ora però, stando ai media statunitensi, ci sarebbero pressioni da parte di tre senatori repubblicani affinché Sessions lasci l'incarico, ponendo la motivazione dell'incapacità di gestire il ministero in modo assertivo anche se, per alcuni, le ragioni risiederebbero nel Russiagate e nel suo avvicinarsi alla famiglia presidenziale, circostanza che l'attorney non sarebbe in grado di fronteggiare.
Democratici con Sessions
A sostenere Sessions, al momento, c'è l'opposizione democratica che non vedrebbe di buon occhio un avvicendamento al Dipartimento in questa fase dell'inchiesta sul Russiagate: nell'opinione del partito, infatti, un eventuale nuovo attorney general potrebbe decidere di optare per la scelta che Sessions aveva declinato, ossia guidare le indagini. Lo stesso ministro, peraltro, starebbe strenuamente difendendo la sua posizione sposando alcune cause di Trump scagliandosi, ad esempio, contro la liberalizzazione della marijuana. Di certo, la mancata presenza a Camp David apre qualche spiraglio di conferma sul suo momento difficile, così come la presenza di Pruitt potrebbe lasciar presagire il suo inserimento nella schiera di pretendenti al delicato ruolo di attorney.