Un nuovo capitolo si aggiunge al – già complicato e per alcuni tratti misterioso – caso Russiagate, ossia i presunti contatti tra l’entourage del presidente Donald Trump e alcuni agenti russi. Contatti che verosimilmente avrebbero avuto come obiettivo quello di coordinare gli sforzi per danneggiare la campagna elettorale della candidata democratica Hillary Clinton. Scandalo che portò alle dimissioni del generale in pensione Michael Flynn, all’epoca fresco di nomina come National Security Adviser.
Il mandato di comparizione
A spiccare il mandato di comparizione nei confronti di Flynn è la commissione di intelligence del Senato americano che sta indagando sul Russiagate. La decisione arriva dopo che l’ex consigliere alla sicurezza nazionale si era rifiutato di collaborare all’inchiesta. L’obiettivo della commissione è quello di obbligare Flynn a presentare alcuni documenti sui suoi contatti con gli 007 del Cremlino. Ma in realtà, secondo quanto riferito dalla Cnn, l’ex generale è solo uno dei quattro ex collaboratori di Donald Trump finiti nel mirino della Commissione di intelligence. Gli altri tre sono l’ex consigliere per la politica estera della campagna elettorale, Carter Page, l’ex presidente della campagna, Paul Manafort, e l’ex consigliere Roger Stone.
Le richieste della Commissione
“La richiesta comprende documenti rilevanti per l’indagine sull’interferenza russa rispetto alle elezioni del 2016”, ha dichiarato il presidente della Commissione, Richard Burr, il quale ha ricordato che questi documenti erano già stati richiesti all’ex generale lo scorso 28 aprile, ma Flynn aveva comunicato che avrebbe collaborato solo in cambio dell’immunità.