Un'onda inarrestabile quella del Russiagate. Dopo le rivelazioni bollenti dell'ex consigliere George Papadopoulos e il fermo dell'ex capo della campagna elettorale di Donald Trump, Paul Manafort, accusato di cospirazione, il cerchio di stringe ora attorno al ministro della Giustizia, nonché fedelissimo del Tycoon, Jeff Sessions. In procinto di partire alla volta dell'Asia, dove è atteso da un importante confronto con i leader dei maggiori Paesi dell'area orientale del continente, il presidente si è detto deluso dal comportamento di quello che, finora, è stato uno dei suoi principali collaboratori, rispondendo con un criptico “non lo so” a un cronista che aveva azzardato a chiedere se avesse intenzione di valutarne il licenziamento. Al centro della crepa fra i due, vi sarebbero proprio le dichiarazioni di Papadopoulos il quale, nei giorni scorsi, aveva rivelato all'Fbi di aver intrattenuto relazioni con alcuni esponenti del Cremlino, al fine di ottenere informazioni che potessero compromettere la corsa alla Casa Bianca della candidata democratica, Hillary Clinton.
La versione di Papadopoulos
Nonostante sia Trump che Sessions abbiano sempre smentito le parole dell'ex consigliere in merito alla loro presunta conoscenza sulle sue interconnessioni con i russi, Papadopoulos avrebbe rivelato ai federali che fu lo stesso ministro della Giustizia a suggerire, nell'ottica di un possibile incontro fra il futuro presidente e Vladimir Putin, di rifiutare la proposta da lui avanzata. In sostanza, sia Sessions che il Tycoon avrebbero presenziato alla riunione fra Papadopoulos e gli emissari russi, organizzato allo scopo di verificare i presupposti per il faccia a faccia fra Trump e il presidente russo. Dichiarazioni che il ministro continua a contestare ma, al momento, la sua versione risulta meno credibile da parte dei democratici che, nei prossimi giorni, lo ascolteranno nuovamente per ricevere chiarimenti in merito ai suoi reali contatti con l'ex consigliere.
I Repubblicani contro Mueller
Nel frattempo, però, la sua posizione si è fatta decisamente più complicata e i suoi rapporti con il presidente iniziano pericolosamente a scricchiolare: dal suo prossimo 'interrogatorio', infatti, andrà stabilito se, effettivamente, Sessions abbia mentito sulle sue conoscenze in merito ai contatti di Papadopoulos. Nella giornata di oggi, peraltro, anche l'ex numero due della campagna elettorale di Trump, Sam Clovis, ha fatto un passo indietro riguardo la sua possibile nomina per un ufficio ministeriale: alla base della decisione, la rivleazione delle comunicazioni da lui scambiate ancora con Papadopoulos, vera pietra angolare dei futuri sviluppi dell'inchiesta. A tal proposito, nelle ultime ore, qualche vento di burrasca si è levato (per motivi diversi) anche attorno al procuratore Robert Mueller: secondo quanto rivelato dal 'Washington Post', infatti, i repubblicani avrebbero avanzato al sostituto di James Comey la richiesta di ritirarsi dall'inchiesta, causa conflitto d'interessi. L'ala congressuale avrebbe fatto riferimento al precedente ruolo di direttore dell'Fbi ricoperto da Mueller, nello stesso periodo in cui l'amministrazione Obama approvò l'acquisto di uranio da parte della Russia. Gli americani, però, nel procuratore specialeci credono: un recente sondaggio organizzato da Washington Post-Abc News, ha rivelato che il 58% degli interpellati gradisce il suo operato in merito all'inchiesta.