“La Turchia è un partner chiave per la lotta all’Isis, dentro e fuori i confini della Siria”, ma “ci sono scelte difficili da fare” sulle “tattiche” per combattere il sedicente Stato islamico. Lo ha detto il segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, ad Ankara durante il faccia a faccia con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Una visita che non basta a colmare la distanza tra Ankara e Washington, allontanando sempre di più l’ipotesi di una partecipazione turca all’offensiva su Raqqa, la “capitale” siriana dell’Isis. Sul sostegno americano ai curdi-siriani, il nuovo segretario di Stato Usa non promette la svolta sperata da Erdogan. Una convergenza che manca anche sul futuro politico della Siria: “La permanenza di Assad nel lungo termine dovrà essere decisa dal popolo siriano”, dice Tillerson. Ma la sua presenza, a sole due settimane dal cruciale referendum sul presidenzialismo, è un nuovo segnale di attenzione dell’amministrazione americana per il ruolo della Turchia, dove aveva già inviato il capo della Cia, Mike Pompeo, e quello delle forze armate, il generale Joseph Dunford. Una missione utile anche a preparare il primo faccia a faccia tra Erdogan e Donald Trump, atteso a maggio.
Ankara insiste sulla necessità di sostenere gli “attori legittimi” nella lotta all’Isis, definendo come un “grave rischio” il sostegno americano ai curdi del Pyd, che ha già “influenzato negativamente il sentimento del popolo turco verso gli Stati Uniti”. Una sua partecipazione all’offensiva sul Raqqa appare quindi sempre più difficile. Il Consiglio di sicurezza turco ha dichiarato ufficialmente conclusa, dopo oltre 7 mesi, l’operazione militare “Scudo dell’Eufrate” nel nord della Siria, anche se difficilmente le truppe turche lasceranno a breve le zone conquistate sotto il controllo esclusivo delle milizie locali. La distanza con Washington resta anche sull’estradizione di Fethullah Gulen, la presunta mente del fallito golpe, su cui Ankara chiede ora “passi concreti“.