May va avanti, anzi no: nella tarda serata del 10 giugno sembrava fosse arrivato il sì del Dup a un accordo di principio, garantendo la fiducia al governo. Gli unionisti, tuttavia, hanno precisato che tale intesa non è ancora stata raggiunta, parlando esclusivamente di “colloqui positivi”. La leader Arlene Foster ha sottolineato che le discussioni proseguiranno anche la prossima settimana per sistemare i dettagli del nuovo governo. Un rimando, tuttavia, cavalcato da Jeremy Corbyn che, al “Sunday Mirror”, si è detto convinto di poter “diventare primo ministro, è ancora assolutamente possibile… Non credo che May e il suo governo abbiano alcuna credibilità”.
Dimissioni
Sono nel frattempo iniziati ad arrivare i primi caduti “eccellenti” all’interno dello staff di Theresa May dopo le deludenti elezioni politiche del Regno Unito dell’8 giugno scorso. A farsi da parte, due dei maggiori esponenti dell’entourage del Primo ministro britannico, Nick Timothy e Fiona Hill i quali, con l’atto delle dimissioni, si assumono parte della responsabilità per quella che, nonostante la vittoria, si è rivelata un’arma a doppio (e doloroso) taglio. A riferire delle dimissioni dei due pezzi da novanta dello staff di Downing Street è stato il quotidiano “Independent”. Peraltro, è proprio attraverso la stampa britannica che è possibile farsi un’idea dell’influenza dei due dimissionari sull’operato di May a cominciare dal soprannome affibbiato dai tabloids albionici a Timothy, noto con l’appellativo di “Rasputin” dalle parti del civico 10, e da quello di Hill, altrimenti detta “Lady Macbeth”.
Timothy: “Il Paese è diviso”
A quanto pare, la decisione di farsi da parte sarebbe stata caldeggiata dagli stessi Tories, delusi dal risultato delle elezioni e tutt’altro che entusiasti della delicata alleanza con i nordirlandesi del Dup. Probabilmente è stata la stessa May a invitare entrambi a considerare la propria posizione, rispondendo alle pressioni interne del Partito conservatore. Timothy, spiegando di aver rassegnato le proprie dimissioni già nella giornata di ieri, ha scritto sul suo profilo social di assumersi “la responsabilità della campagna elettorale, che è stata un errore rispetto al nostro programma. La ragione della nostra delusione non è il mancato sostegno a Theresa May e ai conservatori, bensì l’inaspettato aumento del seguito verso i laburisti”. Ma l’influente capo dello staff ha precisato che “la Gran Bretagna è un Paese diviso: molti sono stanchi dell’austerità, molti restano arrabbiati o frustrati per la Brexit e molti giovani sentono di non avere le opportunità che hanno avuto i loro genitori”.
Bufera su May
Ma, al di là dell’addio di Timothy e Hill, anche la figura di Theresa May resta fortemente in bilico: il contraccolpo elettorale è stato fortissimo e molti sondaggi non vedono di buon occhio il prosieguo della sua avventura a Downing Street. D’altronde, anche colui che, in un certo senso, risulta il vincitore morale di queste politiche, Jeremy Corbyn, ha tenuto a sottolineare che i due dimissionari “si prendono la colpa, ma l’unica responsabile della sconfitta è Theresa May”. Di certo, al leader dei laburisti non aggrada il tentativo della conservatrice di restare aggrappata a un governo di minoranza, peraltro al fianco degli stessi unionisti apertamente dichiaratisi contrari a qualunque intesa con Corbyn. Il tifone sul Primo ministro è incrementato anche dalla stampa, decisamente poco tenera dopo il fallimento alle urne: piuttosto critico, tra gli altri, il “Daily Mirror” che definisce il governo in costituzione “una coalizione di matti”. Non certo un buon inizio.