Èdi qualche ora fa l'accordo di pace raggiunto fra il presidente del Mozambico, Filipe Nyusi, e il capo della Resistenza nazionale mozambicana (ReNaMo), Ossufo Momade. Stando a quanto riferito dal quotidiano Publico, le due parti, riunite oggi presso la base militare di Renamo, a Gorongosa, hanno trovato una soluzione di pace più lunga, che verrà firmata formalmente il prossimo 6 agosto a Maputo, capitale del Paese, alla presenza delle alte sfere istituzionali e di svariate organizzazioni. In un discorso al parlamento nazionale, ieri il presidente Nyusi ha definito l'accordo come il suggello finale del conflitto fra le parti belligeranti per garantire “la pace duratura che tutti i Mozambici hanno tanto desiderato”. Con la firma dell'accordo terminerebbe, così, il lungo cammino di pace costellato di negoziati iniziato dal compianto leader della Resistenza nazionale, Alfonso Dhlakama.
L'accordo di Roma
Il contesto socio-politico del Mozambico è un organismo assai fragile. Dopo l'indipendenza del 1975, il Paese ha dovuto far fronte a 17 anni di guerra civile tra la ReNaMo e il governo nazionale. Soltanto nel 1992, con lo storico accordo di pace suggellato il giorno di san Francesco a Roma con la mediazione della Comunità di Sant'Egidio, il presidente di allora, Joaquim Chissano, e Afonso Dhlakama, leader dell'opposizione. Anche allora, l'accordo prevedeva la consegna degli armamenti alle forze dell'Onu, l'integrazione degli ex combattenti nell'esercito regolare, una capillare campagna di disinnesco delle mine e un iter progressivo verso le elezioni libere, che si tennero nel 1994.
Il difficile cammino per la pace
Il Mozambico è un esempio manifesto di che cosa comporti avviare un processo di pace. Con l'accordo di Roma, i leader del Paese ereditavano uno stato stremato dai conflitti prima anticoloniali, poi civili. Su tutto gravava la pesante situazione economica, con il paradosso di una vasta quantità di risorse, come gas naturale, petrolio, oro e diamanti e la difficile possibilità di usarle in maniera adeguata. Con una campagna di privatizzazione, però, il Mozambico è divenuto, nel giro di pochi anni, uno dei pochi Paesi della fascia subshariana più prolifico. La velocità della crescita economica non ha, tuttavia, nascosto le sue crepe, la più evidente delle quali è il divario tra pochi benestanti e tanti indigenti.
Fragilità sociale
È proprio il gap sociale alla base dell'instabilità del governo di Maputo e questo si rifette, inevitabilmente, nello scenario politico. Tra il 2013 e il 2914, il leader della ReNaMo, Alfonso Dhlakama, aveva deciso di eclissarsi invitando la comunità internazionale a un ulteriore sforzo di mediazione, mentre quattro anni prima l'allora capo di governo, Armando Guebuza, aveva optato per le dimissioni al termine del suo secondo mandato. La difficoltà a favorire una società inclusiva acuisce il malcontento che si radica nel Paese come vento sotto la cenere. A ciò s'aggiunge, inoltre, il timore dei mozambicani che un governo a “trazione democratica” possa minare l'unità del Mozambico anche a livello locale, nonché l'esito inconcludente dei grandi progetti di investimento legati alle risorse minerarie e alle estrazioni off-shore.
Un'immensa ricchezza per le mani
Il Mozambico è sotto l'interesse internazionale anche perché rappresenta un Paese su cui poter investire. Come sottolinea Roberto Bongiorni su Il Sole 24ORE, nel 2011 l'Eni ha scoperto il più grande giacimento di gas naturale, con oltre 2 miliardi di metri cubi, che porterà il Paese a diventare, entro il 2025, il secondo fornitore di gas naturale liquefatto. Per questo, le società energetiche – come l'italiana Eni, ma anche la statunitense Anadarko e tante altre stanno cercando di acaparrarsi un posto in prima fila, promettendo ricchezze per l'intero contesto mozambicano. Come ha rilevato l'amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, a Il Sole 24ORE, “lo sviluppo dei giacimenti di gas consentirà al Paese un ritorno di almeno 100 miliardi di dollari in 20-25 anni”.