Nello scacchiere geopolitico è possibile individuare tre punti di frattura nelle relazioni tra Europa e Russia: si tratta di Georgia, Siria e Ucraina. È questa la tesi di Aleksej Puskov, senatore e presidente della Commissione del Consiglio federale russo sulla politica dell’informazione, che ha incontrato la stampa italiana oggi, alla vigilia dell’arrivo a Roma del presidente russo Vladimir Putin.
Ossezia del Sud: l'inizio della crisi
L’intervento di Puskov si è concentrato sulla crisi quinquennale tra Europa e Russia attribuendone parte delle responsabilità all’influenza che gli Stati Uniti esercitano sul Vecchio Continente. C’è una data chiave: è il 2008 – rileva Puskov – quando l’esercito georgiano lanciò un’offensiva in Ossezia del Sud, una regione autonoma della Georgia che rivendica il riconoscimento della sua indipendenza e una vocazione verso la Russia con cui confina a Nord. Mosca inviò le proprie truppe e “ciò fu interpretato in Occidente come un’aggressione”, afferma Puskov, ritenendo tuttavia errata questa lettura. La Russia intervenne – spiega – “per difendere la popolazione civile” dall’attacco militare georgiano e il suo diritto ad autodeterminarsi, lo stesso rivendicato da gran parte dei Paesi dell’Ue nello stesso anno per il Kosovo nei confronti della Serbia. Il rappresentante russo afferma che in quell’occasione “per la prima volta si parlò in Occidente di isolamento della Russia, senza tuttavia che seguissero azioni concrete grazie all’accordo tra l’allora presidente francese Sarkozy e quello russo Medvedev” che prevedeva il ritiro delle truppe russe e l’intervento di osservatori europei in sostituzione dell’esercito georgiano sul territorio. “Ma da allora – l’opinione di Puskov – si creò un clima di ostilità occidentale verso la Russia”.
La Siria e il pericolo jihadista
Dalla Georgia si passa poi alla Siria, culmine di una strategia straniera di cambiare regimi avversi in Medio Oriente. Prima del conflitto – spiega Puskov – “era un Paese in cui convivevano pacificamente diverse comunità religiose e dove non c’era terrorismo”. Dopo l’inizio del conflitto, nel 2011, il terrore invase invece il Paese. “Il 45,5% del territorio siriano – ricorda – era finito in mano all’Isis” ed è “anche grazie all’intervento della Russia che sono stati stroncati i jiahdisti. Questi ultimi incombono pure al di fuori del Medio Oriente: Puskov ha spiegato che la Russia ha rafforzato i controlli ai propri confini per verificare l’identità e le eventuali appartenenze a gruppi fondamentalisti islamici dei migranti.
Ucraina e sanzioni
Ma il punto di frattura tra Europa e Russia più dilatato si trova in Ucraina. Egli rimprovera all’Unione europea nel 2013 di aver fatto credere che avrebbe preso Kiev sotto la sua ala creando illusioni nel popolo ucraino. Secondo i suoi dati, invece, il conflitto con la Russia per l’Ucraina è stato un flagello economico: “il pil ucraino – ha detto – è scivolato da 192 a 90 miliardi”. Sottolineando inoltre che il popolo della Crimea si è espresso a favore dell’autodeterminazione dall’Ucraina con percentuali enormi, ha affermato che le sanzioni imposte dall’Unione europea alla Russia non hanno effetto perché non fanno altro che alimentare “la dignità nazionale dei russi”. Puskov spiega che esse costituiscono un danno per l’economia russa, ma altrettanto per quella europea (qui un articolo di In Terris sulle perdite causate all’Italia). Minori aggravi, invece, per l’economia statunitense, in quanto gli Usa – secondo Puskov – avrebbero dispensato dal regime sanzionatorio alcuni prodotti che rappresentano scambi commerciali importanti tra Russia e Stati Uniti. Il senatore russo ha rilevato che l'Italia non può da sola eliminare le sanzioni, ma può creare “una massa critica” nell'Ue almeno per rivederle. Puskov ha infine affermato che “la Russia è la prosecuzione naturale dell’Europa” in quanto coincidono cultura, civiltà e anche interessi geopolitici.
Aleksej Puskov