Dopo la decisione di Yahya Jammeh di non accettare la sconfitta alle elezioni presidenziali, il Gambia rischia di sprofondare nella violenza. Lo ha detto il presidente dell’Organizzazione di Paesi dell’Africa occidentale (Ecowas), Marcel Alain de Souza. De Souza ha affermato che Jammeh, al potere per 22 anni, deve rispettare la scelta del popolo degli elettori e ritirarsi. Anche perché – ha sottolineato – pure il piccolo Paese deve affrontare le pesanti sfide in atto nell’Africa Occidentale, a partire dal terrorismo di Boko Haram in Nigeria e dagli attacchi estremisti nel Mali settentrionale.
Il caso è esploso dopo che la vittoria di Adama Barrow, capo dell’opposizione, è stata ufficializzata. In un discorso alla televisione l’ex presidente ha affermato che successive indagini hanno rivelato numerose irregolarità, che ha definito inaccettabili. E pertanto, ha detto, “respingo totalmente i risultati”, “sulla base di quanto accaduto”. La settimana scorsa, la televisione di Stato aveva mostrato le immagini di Jammeh che chiamava al telefono Barrow per augurargli buona fortuna. “Sei il presidente eletto del Gambia e ti auguro tutto il meglio”, aveva detto al suo rivale. Secondo la commissione elettorale, nel ballottaggio Barrow ha ottenuto il 45% dei voti contro il 36% di Jammeh.
A livello internazionale, gli Stati Uniti e altri Paesi hanno criticato le dichiarazioni dello sconfitto mentre l’Unione Africana ha invitato le forze di sicurezza e l’esercito a rimanere neutrali. I soldati sono presenti in forze nelle strade della capitale Banjul e molti negozi sono rimasti chiusi nel timore di disordini. Anche l’Unione Europea, per bocca di Federica Mogherini, ha invitato Jammeh a riconoscere la sconfitta e a rispettare la “volontà del popolo del Gambia e la legge”. Secondo Lady Pesc il rifiuto di riconoscere l’esito del voto è “inaccettabile”.
Il presidente uscente Jammeh, accusato ripetutamente di violazione dei diritti umani, prese il potere nel 1994 con un colpo di Stato, per poi diventare, due anni dopo, il candidato presidenziale senza rivali.