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Povertà e fondamentalismo, è il Burkina Faso l’inferno degli sfollati

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L'Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, e i suoi partner stanno incontrando serie difficoltà nell’accedere alle popolazioni rifugiate e sfollate in Burkina Faso a causa dell’insicurezza che attanaglia le regioni nordorientali del Paese. Mentre il numero di sfollati è ormai arrivato a quasi 500.000, la recente recrudescenza di attacchi violenti perpetrati dai militanti nei confronti di militari e civili stanno costringendo alla fuga altre migliaia di persone per salvarsi.

Tragica escalation

“In Burkina Faso è in atto una vera e propria caccia ai cristiani, i quali vengono colpiti durante processioni ed espressioni della loro fede e perfino raggiunti nelle loro case e giustiziati”, avverte il sacerdote burkinabé don Roger Kologo, Burkina Faso e in genere l’Africa sono il nuovo fronte del fondamentalismo islamico: dei 18 sacerdoti e una religiosa uccisi nel mondo nel 2019, ben 15 sono stati assassinati in questo continente, dei quali 3 in Burkina Faso. Il sacerdote ha riassunto alla fondazione pontificia Acs la tragica escalation di attacchi anticristiani iniziata proprio dalla sua diocesi, quella di Dori, lo scorso Venerdì Santo, e ha parlato del suo amico don Joel Yougbare, rapito lo scorso 17 marzo. “La sera prima del sequestro abbiamo cenato insieme. Mi aveva detto che sarebbe andato a visitare una comunità in un’area remota. Sapeva che era rischioso, i jihadisti lo tenevano d’occhio e più volte l’avevano seguito, ma lui non voleva abbandonare i suoi fedeli. È un uomo di grande coraggio e noi continuiamo a pregare il Signore affinché possiamo ritrovarlo in vita”, afferma don Kologo ricordando anche il delegato della comunità di Essakane ucciso da terroristi islamici perché non aveva digiunato e pregato come loro (durante il mese del Ramadan). “Nella diocesi di Ouahigouya questo tipo di esecuzioni sono ancor più numerose- aggiunge-. Nei villaggi caduti ormai nella più totale insicurezza, i nostri fratelli nella fede sono degli obiettivi chiaramente identificati e vengono uccisi perché sono cristiani. Dall’inizio dell’anno sono più di sessanta i fedeli uccisi per la loro fede”.

Attacchi ai villaggi

Un pensiero il sacerdote lo rivolge anche al missionario salesiano spagnolo don César Fernandez, ucciso il 15 febbraio al confine con il Togo e a “tutti coloro che sono stati uccisi perché appartenenti alla leadership locale o perché si sono opposti alla violenza terroristica, come i 16 musulmani uccisi nella loro moschea l’11 ottobre”. In Burkina Faso sono circa 300.000 le persone che sono dovute fuggire solo negli ultimi quattro mesi. Il numero di sfollati potrebbe arrivare a 650.000 entro la fine dell’anno. Le persone in fuga dalle violenze riferiscono di attacchi nei villaggi perpetrati da estremisti che spesso reclutano con la forza i cittadini maschi sotto la minaccia delle armi, uccidendo quanti oppongono resistenza. I militanti, inoltre, hanno fatto razzìa di bestiame e altri possedimenti. Terrorizzati dagli attacchi, i residenti sono fuggiti, molti cercando rifugio a Dori, un paese di circa 20.000 abitanti vicino al confine col Mali e col Niger. L’Unhcr rimane molto preoccupata per l’incolumità e le condizioni di sicurezza dei residenti e dei 26.000 rifugiati maliani colpiti dai recenti attacchi violenti perpetrati dai militanti nella regione burkinabè del Sahel. La sorte di coloro che vivono a ridosso del confine nordorientale nella città di Djibo (compresi i circa 7.000 rifugiati del campo di Mentao)  costituisce particolare motivo di apprensione. Le vie di accesso, evidenzia l’Adnkronos, sono chiuse da inizio novembre in seguito a una serie di attacchi a opera dei militanti. Gli aggressori hanno assassinato il sindaco, distrutto le case e gettato nel caos la vita quotidiana. All’interno del campo di Mentao i rifugiati vivono nella paura. Tutte le scuole sono state chiuse e l’accesso umanitario al campo è divenuto sempre più problematico, ostacolando seriamente la distribuzione degli aiuti, comprese le scorte alimentari.

Spesa non sostenibile

L’Unhcr si è vista costretta a trasferire temporaneamente il proprio personale da Djibo per lavorare a distanza. L’Unhcr collabora coi propri partner per fornire aiuti a coloro che si trovano ancora a Djibo e per assicurare assistenza anche ai cittadini e ai rifugiati che sono giunti a Dori, Bobo Dioulasso e Ouagadougou. Le famiglie sfollate hanno disperato bisogno di ricevere alloggio, acqua potabile e cibo. Molte dormono all’aperto, dal momento che prendere in affitto dai residenti le piccole abitazioni in muratura rappresenta una spesa non sostenibile. L’Unhcr sta distribuendo tende speciali, conosciute come unità abitative per rifugiati (Refugee Housing Units/Rhu), dotate di maggiore ventilazione, porta con serratura e un piccolo pannello solare sul tetto che permette di illuminare l’interno o ricaricare le batterie dei telefoni.  Si stima che, attualmente, solo il 10 per cento delle necessità di alloggio delle persone sfollate in Burkina Faso sia soddisfatta. L’Unhcr, riferisce l’Adnkronos, sta intensificando il proprio intervento al fine di acquistare con urgenza ulteriori alloggi, oltre alle 3.335 unità già distribuite e alle 1.880 attualmente in fase di costruzione sia nel Sahel sia nelle regioni centrosettentrionali.  Per le comunità locali e per quanti sono costretti alla fuga, l’accesso ai documenti di identità è essenziale per potersi vedere garantita libertà di movimento. Per gli sfollati interni, l’Unhcr ha facilitato e finanziato il rilascio di carte d’identità, nonché di certificati di nascita e di altri documenti necessari per dimostrare l’identità, circolare liberamente o richiedere assistenza.

Civili da proteggere

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati chiede maggiori sforzi volti a garantire la sicurezza della popolazione civile e l’accesso umanitario a tutte le persone colpite nella regione. A settembre di quest’anno, Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger hanno adottato le “Conclusioni di Bamako” riaffermando il loro impegno per proteggere i civili.  Attualmente, tutte le 13 regioni del Burkina Faso accolgono persone in fuga dalle violenze. La regione del Centro-Nord accoglie il numero più esteso (oltre 196.000 persone nella sola provincia di Sanmatenga) seguita dalla regione del Sahel, con quasi 133.000 persone nella provincia di Soum.

Giacomo Galeazzi: