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Pericoli per Mkhitaryan: quando politica e calcio si fondono

“Chi sa solo di calcio, non sa nulla di calcio”. Così sentenziò Jose Mourinho, facendo riferimento alle tante sfaccettature che accompagnano il gioco del pallone, non per ultima quella geografica, politica e culturale che, con l’avvento della globalizzazione, sta sempre più scomparendo, appiattendo il mondo dello sport, rendendolo un mero palcoscenico uniforme in ogni angolo del mondo. La vicenda che sta coinvolgendo il tesserato dell’Arsenal, l’armeno Henrikh Mkhitaryan, sembra rompere momentaneamente questo schema: la finale di Europa League, il derby londinese tra Arsenal e Chelsea, che si disputerà a Baku non vedrà la presenza del calciatore nato alle pendici dell’Ararat per motivi di sicurezza personale. La decisione, presa dal calciatore tramite un comunicato rilasciato dai Gunners, è correlata alle tese relazioni diplomatiche che intercorrono tra l’Armenia e l’Azerbaigian in seguito al conflitto del Nagorno Karabakh perdurato dal 1992 al 1994. Le dichiarazioni di Mkhitaryan hanno sollevato un vespaio di polemiche a riguardo della decisione della Uefa di giocare la finale di un prestigioso trofeo in un Paese come l’Azerbaigian, il quale non sarebbe in grado di salvaguardare l’incolumità di un civile armeno. La vicenda dimostra di avere, però, delle sfaccettature più complesse.

La storia

La guerra del Nagorno Karabakh si inserisce nel quadro dei conflitti regionali che esplosero in seguito alla dissoluzione dell’Urss e alle rivendicazioni territoriali delle diverse repubbliche da essa derivate. La regione, ufficialmente territorio della Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaigian, a maggioranza armena, nel 1992 prese le distanze dalla dichiarazione di indipendenza di Baku, volendo autodeterminarsi come regione autonoma. Il conflitto armato perdurò fino al maggio del 1994, in seguito alla dichiarazione di cessate il fuoco firmata dalle parti a Biškek. Ad oggi la tensione tra Baku ed Erevan è molto alta, anche considerando che l’Azerbaigian esprime posizioni politico-culturali molto vicine a quelle della Turchia, in un abbraccio dai risvolti drammatici per il popolo armeno (vittima di un genocidio ancora negato da Istanbul), incastonato geograficamente nel mondo turco, rifugiatosi senza indugi tra le braccia protettive dell’Urss e della successiva sfera di influenza russa. L’affaire Mkhitaryan ha contribuito a riportare alla ribalta delle cronache mondiali la storia tribolata del Nagorno Karabakh, oggi terra di nessuno ancora trincerata dietro un filo spinato. Il mondo del calcio ha immediatamente puntato il dito contro Baku prendendo le parti del centrocampista armeno, sollevando un’obiezione legittima: è possibile per un’istituzione europea come la Uefa tenere eventi di tale portata in Paesi che sono ancora ufficiosamente in conflitto con i propri vicini? A maggior ragione se finiti sotto la lente di ingrandimento delle Ong di tutto il mondo per il mancato rispetto dei diritti umani e civili? In effetti la candidatura dell’Azerbaigian è stata condita da diversi scandali, come quello riguardante i rapporti tra Baku ed il Consiglio d’Europa: qualche settimana dopo la designazione della sede della finale dell’Europa League, 13 membri del Consiglio sarebbero stati coinvolti in uno caso di tangenti. Soldi e gioielli in cambio di un occhio di riguardo nei confronti della candidatura azera. In questa ottica potrebbe essere letta anche l’assegnazione di ben 4 partite degli Europei itineranti del 2020 all’Olympic Stadium di Baku. Già qualche anno fa il Paese caspico, reso benestante dagli introiti derivanti da petrolio e materie prime, si era lanciato a spron battuto nel mondo dello sport: il logo della compagnia nazionale “Azerbaijan – Land of Fire” campeggiava addirittura sulle blasonate casacche dell’Atletico Madrid in una finale di Champions League. Il calcio, dunque, sembra essere al centro della strategia sportiva di Ilham Aliyev, presidente che ha raccolto l’eredità del padre Heydar, primo Capo di Stato nonché figura nota nei circoli del Pcus ai tempi della Perestrojka.

La sorella di Mkhitaryan

D’altronde è opportuno chiarire che la decisione di rimanere a Londra è da attribuire unicamente a Mkhitaryan ed al suo entourage, il quale avrebbe deciso per motivi di sicurezza preventiva, nonostante il governo, nonché l’ambasciatore azero a Londra, abbiano più volte ribadito che a Baku non si corre alcun pericolo. Recentemente il profilo Twitter dell’agenzia nazionale per il turismo “Come to Azerbaijan” ha pubblicato un video in cui il presidente Aliyev premia un atleta armeno, mentre nella capitale azera divampa lo sdegno per le parole poco edificanti lette sui giornali inglesi, in cui la capitale Baku viene definita “più ad est di Baghdad”, dove ancora una volta l’oriente è sinonimo di barbarie. A svelare dei retroscena sulla decisione del calciatore armeno è il portale Haqqin.az, definito come vicino ai servizi di sicurezza azeri: le voci riguarderebbero la sorella di Mkhitaryan, Monika, da anni impiegata presso gli uffici presidenziali della Uefa, quinta colonna della diaspora armena all’interno dell’istituzione europea. Proprio lei avrebbe fatto conoscere il calciatore con il suo attuale agente, l’arcinoto e plenipotenziario Mino Raiola, il quale avrebbe, con il benestare del calciatore e della sorella – a quanto pare molto attiva in politica -, preso questa decisione per montare una polemica corroborata dagli stessi protagonisti.

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