Ennesimo clamoroso risvolto nell'ambito dell'inchiesta sul Russiagate: l'ex capo della camapgna elettorale di Donald Trump, Paul Manafort, si è infatti consegnato agli agenti dell'Fbi, presentandosi nella sede del bureau di Washington a fronte dei 12 capi d'accusa mossi contro di lui dal procuratore capo Robert Mueller. Manafort, venerdì scorso, era stato incriminato dai federali per varie ipotesi di reato, alcune delle quali piuttosto gravi tra cui cospirazione contro gli Stati Uniti, riciclaggio e omessa denuncia di conti su banche straniere. In risposta all'invito dell'Fbi a costituirsi, Manafort si è presentato negli uffici della capitale per rispondere in merito alle presunte interferenze russe nell'ambito della campagna elettorale che ha portato il Tycoon alla Casa Bianca, danneggiando la candidata rivale, Hillary Clinton.
Manafort e Gates dall'Fbi
Il nome di Paul Manafort, ex pezzo grosso dell'entourage del candidato repubblicano alle presidenziali americane, era stato soltanto l'ultimo, fra quelli eccellenti, a emergere dalle investigazioni del procuratore Mueller, scelto dal Dipartimento di Giustizia per sostituire il licenziato James Comey. Secondo quanto rifrerito da alcuni quotidiani statunitensi, tra i quali il 'New York Times', assieme a Manafort anche Rick Gates, uomo d'affari nonché suo ex socio, sarebbe stato invitato dall'Fbi a consegnarsi spontaneamente: stando a quanto riferito dai media d'oltreoceano, il nome di Gates sarebbe emerso in alcuni documenti concernenti l'impresa creata da Manafort a Cipro, attraverso la quale l'ex capo-campagna riceveva denaro da personaggi politici e da rappresentanti dell'Est Europa.
Anche Papadopoulos mentì
Immediata la replica del presidente Trump arrivata, come di consueto, via Twitter. Nel suo post, l'inquilino della Casa Bianca si è detto dispiaciuto per il momento che Manafort sta vivendo, precisando però che i fatti contestati “risalgono a prima che facesse parte della mia campagna elettorale”. Sull'intricata vicenda del Russiagate, però, si è levata anche la voce di George Papadopoulos, anch'egli fra i consulenti della corsa alla presidenza del Tycoon e che, secondo quanto riportato dalla stampa locale, avrebbe ammesso di aver mentito all'Fbi sui rapporti da lui intrattenuti con la Russia nel periodo delle presidenziali. Nello specifico, l'ex consigliere avrebbe incontrato un uomo (probabilmente un professore) legato al governo russo, con lo scopo di ottenere informazioni compromettenti in grado di ostacolare la corsa elettorale della candidata democratica. Papadopoulos avrebbe riferito informazioni false agli investigatori del Bureau nel corso di un interrogatorio avvenuto a gennaio, durante il quale aveva mentito “sui tempi, l'estensione e la natura dei suoi rapporti e della sua interazione con certi stranieri che aveva capito avere strette connessioni con alti dirigenti del governo russo”.