Era la voce più attesa quella di Mark Zuckerberg, fondatore e Ceo di Facebook, dopo l'ondata dello scandalo Datagate che ha travolto in pieno il più famoso social network del mondo della rete. Va detto che, dopo giorni di silenzio e numerosi richiami alla presa di posizione, le parole dell'imprenditore statunitense erano ormai quasi inevitabili, non tanto (almeno per l'opinione pubblica) per rispondere in merito alla sottrazione di dati in sé, quanto per spiegare come e perché Facebook, alla quale milioni di utenti hanno consegnato parte della propria quotidianità, abbia permesso che tutto questo si verificasse. E Zuckerberg rompe il silenzio nello stesso modo in cui ha rinnovato le modalità di comunicazione, attraverso un post sul suo profilo: “Sono responsabile di quello che è successo – ha scritto -. Abbiamo fatto degli errori, c'è ancora molto da fare. Abbiamo la responsabilità di proteggere le vostre informazioni”.
Lo scandalo
Parole mirate, utili a tentare di rompere il ghiaccio, diventato improvvisamente molto solido, fra il fondatore di Facebook e il popolo di internauti che ha utilizzato e continua a utilizzare il social, scottati da quanto rivelato dall'inchiesta di 'New York Times' e 'Guardian' sull'appropriazione dei dati da parte della società Cambridge Analytica, dietro la quale, secondo la talpa Chris Wylie, ci sarebbe nientemeno che la regia di Steven Bannon, ex stratega della Casa Bianca e, all'epoca, vicepresidente della società in procinto di imbarcarsi, dopo la fine di quell'avventura, nella campagna presidenziale di Donald Trump. “Ho lavorato per capire esattamente cos'è successo – ha scritto ancora Zuckerberg – e come fare in modo che non succeda di nuovo. La buona notizia è che le azioni più importanti per evitare che ciò accada di nuovo oggi le abbiamo già intraprese anni fa”.
La versione di Zuckerberg
Nella sua spiegazione, il Ceo ripercorre le tappe che hanno portato, nel 2014, al “cambiamento dell'intera piattaforma” per “prevenire le applicazioni abusive”, chiedendo “agli sviluppatori di ottenere un'approvazione da noi prima che potessero richiedere i dati sensibili dalle persone”. Un anno dopo, nel 2015, “abbiamo appreso dai giornalisti del Guardian che Kogan aveva condiviso i dati della sua app con Cambridge analytica. E' contro le nostre politiche per gli sviluppatori condividere dati senza il consenso delle persone, quindi abbiamo immediatamente cancellato l'applicazione di Kogan dalla nostra piattaforma, chiedendo che lui e Cambridge analytica certificassero formalmente di aver eliminato tutti i dati acquisiti in modo improprio. E queste certificazioni sono arrivate”. Poi, Zuckerberg arriva a quanto accaduto negli ultimi giorni: “La settimana scorsa abbiamo scoperto grazie al 'Guardian', al 'New York Times' e Channel 4 che Cambridge analytica potrebbe non aver cancellato i dati come avevano assicurato. Abbiamo immediatamente vietato loro di usare i nostri servizi. Cambridge analytica sostiene di aver già cancellato i dati e ha accettato un controllo forense da parte di uno studio che abbiamo attivato per questo scopo. E collaboriamo con chi sta indagando su quanto è successo”. In sostanza, secondo Zucekerberg quanto accaduto è stata “una violazione del rapporto fiduciario tra Kogan, Cambridge analytica e Facebook. Ma anche tra Facebook e le persone che condividono i loro dati con noi e si aspettano che noi li si protegga”.