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Pakistan, Abbasi: “La strategia Usa in Afghanistan destinata al fallimento”

“La strategia militare in Afghanistan non funziona e non funzionerà”. Non ha usato mezzi termini il primo ministro del Pakistan, Shahid Khaqan Abbasi, intervistato dall’agenzia “Bloomberg”. Il riferimento, ovviamente, è all’ormai noto piano del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, di rafforzare la campagna Usa a Kabul, incrementando il contingente dell’esercito di stanza in territorio afghano di 4mila unità. Sulla faccenda si è discusso molto, sia per l’inversione di tendenza in merito da parte del Tycoon (inizialmente dettosi contrario alla missione in Afghanistan) che per la validità della strategia adottata, criticata a più riprese dal governo pakistano (accusato dal presidente di offrire “paradisi sicuri” ai terroristi, arrivando a minacciare il taglio del sostegno economico al Paese) e, qualche giorno fa, anche dall’Iran.

Abbasi: “Afghanistan tratti coi talebani”

Nonostante abbia ribadito che il Pakistan “non consentirà di combattere la guerra afghana sul suo suolo”, il premier Abbasi ha confermato l’intenzione di mettere in atto un’efficace strategia di contrasto contro il terrorismo, sostenendo di voler “cooperare con tutti i Paesi, compresa l’India”, specificando però che l’Afghanistan “dovrebbe trattare direttamente con i talebani”. Qualora tale dialogo dovesse davvero avvenire, il premier ha dichiarato che il Pakistan sarà pronto a offrire “tutto il sostegno necessario, se ci fosse richiesto”.

Sostegni a Islamabad

Inutile dire che le dichiarazioni di Trump sul presunto appoggio pachistano ai jihadisti abbia alimentato notevolmente il fuoco delle polemiche, ripreso in parte anche dallo stesso Abbasi: nei giorni scorsi, il Comitato per la sicurezza del Paese aveva condannato le parole del presidente Usa, seguito il giorno successivo dal governo iraniano, il quale aveva invitato il Tycoon a non intromettersi, attribuendo il quadro di destabilizzazione della regione alle strategie opportunistiche, alle politiche unilaterali e alle interferenze sbagliate da parte di Washington. Il governo di Islamabad, nei giorni successivi alla conferenza di Fort Mayer, aveva incassato il sostegno non solo di Teheran ma anche della Cina e della Russia.

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