A poche ore dalla sconfitta sull’Obamacare, Donald Trump deve incassare un nuovo schiaffo. Nel ballottaggio in Alabama alle primarie del partito – valide per un seggio in Senato – Roy Moore, il candidato populista, ultraconservatore ed evangelico appoggiato da Steve Bannon e Sarah Palin, ha sconfitto secondo le proiezioni il senatore Luther Strange, per il quale hanno fatto campagna elettorale il presidente americano e i vertici del Grand Old Party.
Il prossimo 12 dicembre Moore se la dovrà vedere con il democratico Doug Jones, ex procuratore dell’Alabama, per la conquista del seggio in Senato lasciato libero da Jeff Sessions, entrato nel governo Trump con la carica di ministro della giustizia. La vittoria di Moore assume un significato molto importante, con il partito repubblicano che ancora una volta si avvia verso le elezioni di metà mandato, nel novembre 2018, con l’ala più populista e conservatrice pronta a dare battaglia, così come è stato negli anni passati con il fenomeno dei Tea Party. Smacco anche per Trump, che in Alabama aveva vinto nel 2016 proprio grazie al voto degli elettori anti-establishment. Quelli che stavolta gli hanno girato le spalle non capendo il motivo del sostegno del presidente al candidato di punta del partito. In molti si spiegano la mossa dell’ex tycoon con un calcolo: quello di fare un favore all’establishment repubblicano in cambio dell’impegno a portare avanti in Congresso l’agenda della Casa Bianca, con i voti cruciali previsti entro la fine dell’anno sula riforma fiscale e ancora una volta sull’abolizione dell’Obamacare.
Sulla modifica della riforma sanitaria varata da Obama, Trump ha lanciato un ultimatum ai repubblicani: “Se fallirete nell’abolire l’Obamacare – ha avvertito – lavorerò per un compromesso con i democratici”. Il presidente americano – raccontano nei corridoi della Casa Bianca – è frustrato dall’impossibilità di portare a casa una delle promesse principali della sua campagna elettorale: un cavallo di battaglia assoluto come il superamento dell’unica vera riforma fatta dal suo predecessore. E punta il dito ancora una volta su quei senatori repubblicani – tra cui l’ex candidato alla presidenza John McCain – che hanno bocciato anche l’ultimo progetto per dare il colpo di grazia all’Obamacare. Con l’aggravante che i repubblicani hanno ora perso l’autorità per approvare la riforma con una maggioranza semplice, opzione che scade il 30 settembre. A Trump non rimane dunque che puntare dritto sulla riforma fiscale che – ha promesso – sarà la più imponente dai tempi di Ronald Reagan. E che spera di concretizzare entro pochissimi mesi, per evitare quello che sarebbe un magro bilancio del suo primo anno di presidenza. Ma le difficoltà non sono poche: l’accordo raggiunto a suo tempo per evitare ripercussioni pesanti sui conti pubblici prevede tagli alle imposte per un massimo di 1.500 miliardi di dollari in dieci anni. Mentre l’insieme delle misure proposte ammonta a oltre 5 mila miliardi. Un gap per eliminare il quale ci vorranno mesi di lavoro e di trattative, col rischio che la riforma fiscale faccia la fine di quella sanitaria“.