Il verde d’Irlanda è nuovamente tornato a mischiarsi con il rosso del sangue. Nel corso di tafferugli tra dissidenti repubblicani e forze di polizia a Derry, nel Nord Irlanda, è rimasta uccisa una giornalista 29enne. Come per un tragico scherzo del destino, l’omicidio che riaccende i riflettori sul conflitto nord-irlandese è avvenuto a poche ore da un Venerdì Santo che ricorda quello del 1998, quando il famoso Accordo tra Londra e Dublino si proponeva di mettere fine a quasi trent’anni di conflitto armato che provocò oltre 3.500 vittime. Ad assumersi la responsabilità della morte della reporter è stata, con un comunicato in cui presenta “sincere scuse” ai familiari della vittima, la Nuova Ira. Il fatto di sangue esaspera un clima, nella parte settentrionale dell’isola, reso già teso dai negoziati della Brexit. In Terris ne ha parlato con Riccardo Michelucci, giornalista, saggista, traduttore esperto di Irlanda.
Cos’è la Nuova Ira?
“La Nuova Ira è in realtà una sigla creata dai mezzi di informazione e dalle forze di polizia dell’Irlanda del Nord. Il gruppo si firma semplicemente come ‘Ira’ e ha modalità operative che riprendono in parte la Provisional Ira che annunciò ufficialmente la fine della lotta armata nell’ormai lontano 2005”.
Ha un potenziale militare importante?
“Il suo potenziale non è paragonabile a quello del passato ma è comunque potenzialmente letale, come purtroppo abbiamo visto anche in tempi recenti. Si dice che possa disporre di almeno una cinquantina di membri attivi. È invece alquanto difficile stabilire quale sia al momento il suo arsenale”.
Non solo il Sinn Fein, critiche nei confronti delle azioni violente della Nuova Ira sono piovute anche dal 32 County Sovereignty Movement, formazione politica ritenuta vicina ad un’organizzazione paramilitare, la Real Ira. Che rapporto c’è tra la Nuova Ira e l’universo repubblicano?
“Se per Nuova Ira si fa riferimento al mondo che ruota intorno al partito rivoluzionario di estrema sinistra Saoradh direi che appariva isolato già prima dell’omicidio di Lyra McKee. È opinione comune, tra i repubblicani del Nord, che la lotta armata sia ormai un capitolo chiuso. Anche quelli da sempre critici nei confronti del processo di pace e scontenti degli esiti dell’Accordo del Venerdì Santo, sono in larga parte convinti che le armi siano anacronistiche e non servano più a niente”.
Quali sono le ragioni del dissenso ancora presente e violento in alcuni settori minoritari della comunità cattolica nordirlandese? Ventuno anni dall’Accordo del Venerdì Santo non sono riusciti a sanare le ingiustizie sociali?
“Sicuramente il malcontento sociale dovuto alle difficili condizioni economiche ha avuto il suo peso. Non è un caso che proprio la città e l’area di Derry siano diventate una roccaforte dei dissidenti e un epicentro dei disordini più gravi avvenuti in tempi recenti. Derry, al contrario di Belfast, non ha potuto beneficiare dei dividendi del processo di pace e resta una città povera, con un tasso di disoccupazione preoccupante, le cui comunità sono ancora profondamente divise. Di certo non aiuta il fatto che l’assemblea di Stormont e l’esecutivo di unità nazionale dell’Irlanda del Nord siano crollati entrambi oltre due anni fa e la regione sia da allora tornata di fatto in una situazione di governo diretto da parte di Londra (come accaduto fino all’Accordo del Venerdì Santo, ndr), con l’ulteriore aggravante dell’incertezza sul futuro causata dalla Brexit”.
A proposito, quanto e come ha influito la Brexit sulla recrudescenza delle tensioni in Nord Irlanda? Nella gestione di questo divorzio ritieni sia stata sottovalutata la questione nord-irlandese?
“Ricordo che nel giugno del 2016, subito dopo aver appreso gli esiti del referendum, il giornalista Fintan O’Toole, uno dei più attenti osservatori politici irlandesi, disse che la Brexit sarebbe stata ‘una bomba piazzata sotto il processo di pace’. I principali promotori dell’Accordo del Venerdì Santo – Clinton e Blair in primis – lo ripetono da tempo: il ripristino di un confine fisico tra le due parti dell’Irlanda è incompatibile con quell’accordo e lo mina alle fondamenta. Ciò non vuol dire che riaccenderà inevitabilmente la lotta armata, ma che l’assetto istituzionale creato nel 1998 mostra con grande evidenza tutti i suoi limiti. Purtroppo, anche se nel frattempo non vi fosse stato il ‘terremoto’ della Brexit, l’Accordo del Venerdì Santo non è stato in grado di costruire una pace duratura e di far metabolizzare una volta per tutte le ferite del passato. Il relativo benessere economico favorito anche dai fondi europei non ha cancellato le forti disparità sociali del Paese e soprattutto non ha placato fino in fondo gli opposti estremismi. Dopo oltre vent’anni era lecito attendersi che l’Accordo evolvesse, invece stiamo assistendo a un pericoloso percorso a ritroso”.
Intanto l’andamento demografico nordirlandese sta portando i cattolici a diventare maggioranza. Questi nuovi equilibri, sommati alle azioni violente della Nuova Ira, potrebbero generare frustrazione e una reazione armata da parte di gruppi unionisti?
“Non credo, perché le azioni della cosiddetta Nuova Ira per ora non si sono concentrate contro gli unionisti. Anche negli anni bui del conflitto gli attacchi dei repubblicani contro gli unionisti avvenivano quasi sempre per ritorsione o vendetta. I principali nemici dell’Ira, anche all’epoca, non erano gli unionisti ma l’esercito e le forze di sicurezza britanniche. Quanto alle tensioni, resto dell’idea che ci sarebbero state comunque, lo dimostra il fatto che anche prima del referendum anti-europeo i dissidenti repubblicani e unionisti si erano resi protagonisti di sporadiche azioni violente talvolta letali. Certo, il ripristino di un confine fisico tra il Nord e la Repubblica avrebbe una valenza simbolica molto forte e creerebbe malcontento da parte di molti. Ma di certo non avrebbe la forma di un ‘border’ militarizzato con posti di blocco, torrette di sorveglianza e pattuglie armate com’è stato fino a una ventina d’anni fa”.
C’è una strada percorribile, a tuo avviso, per sanare il malcontento nella comunità cattolica?
“Temo che il malcontento sia più profondo rispetto all’incertezza politica e nasca da un equivoco che potrebbe essere sanato solo con la riunificazione dell’isola. Un referendum in questo senso, da tempo annunciato da Sinn Féin, potrebbe risolvere quest’equivoco creando finalmente un Paese unito. Garantendo ovviamente uno statuto speciale di autonomia per gli unionisti dell’Ulster”.
Scritta per prendere le distanze dall'uccisione della giornalista Lyra McKee sul “Free Derry Corner”