“La forte alleanza tra Israele e gli Usa rimane ferma. Forte anche quando ci sono disaccordi e questo riflette il profondo livello di sostegno dal popolo americano allo Stato di Israele”. Lo ha detto Benjamin Netanyahu durante una cerimonia militare nel tentativo di non alimentare nuove tensioni con Washigton dopo l’astensione americana nel voto dell’Onu sugli insediamenti in Cisgiordania. Il premier tuttavia non ha evitato di riferirsi ai dissidi con Kerry pur non nominandolo direttamente: “con tutto il dovuto rispetto per quelli che parlano del cuore del conflitto in Medio Oriente, è la Siria ad essere la più grande e genuina catastrofe che colpisce la regione e non il nostro conflitto con i palestinesi che è relativamente marginale. Numerosi mesi di conflitto in Siria, Yemen e Sudan – ha detto citato dai media – hanno ucciso più persone che 100 anni di conflitto qui“.
Chi, invece, non vede l’ora che il passaggio di consegne alla casa Bianca sia operativo è Naftali Bennet, ministro dell’educazione e leader del partito “Focolare ebraico” vicino al movimento dei coloni. “Con l’arrivo di Trump – ha spiegato – non solo la Palestina sarà tolta dall’agenda ma la legge israeliana sarà applicata in alcune aree della Giudea e Samaria (Cisgiordania)”. In un’intervista al sito Ynet, Bennett ha preannunciato che il governo di Tel Aviv farà avanzare, per cominciare, un programma di “sovranità su Maalè Adumim” uno dei maggiori insediamenti urbani a sud di Gerusalemme. Inoltre ha promesso che la legge israeliana sarà anche estesa “alla Valle del Giordano, ad Ariel e Ofra dove vivono mezzo milione di ebrei e 70.000 arabi. Nel resto dei Territori ci sarà un’autonomia palestinese separata con 1.200mila arabi e neppure un solo ebreo”.
L’intervento di Kerry è stato commentato anche dagli esponenti politici palestinesi. Secondo il ministro degli affari esteri dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) Riyad al-Malki, nel discorso del segretario di stato Usa “non c’e’ nulla di nuovo” per risolvere il conflitto, tranne che il tentativo di far passare “uno Stato ebraico” che i palestinesi respingono. “Kerry – ha spiegato citato dai media di Ramallah – non ha offerto niente di nuovo, ma ha cercato di compendiare la passata esperienza e di ripresentarla. Ma la cosa più pericolosa nel suo discorso è stato il tentativo di far passare uno stato ebraico collegandosi in parte alla Risoluzione 181 senza prenderla per intero”.