“La Commissione Ue sostiene la gestione delle frontiere esterne, ma non finanzia barriere“. Così Bruxelles ha respinto la richiesta del premier ungherese Viktor Orban di pagare un conto da 400 milioni di euro per la realizzazione della barriera di filo spinato avviata nel 2015 al confine con Serbia e Croazia. Il tutto in nome della solidarietà europea.
Nel dirsi “pronto ad analizzare le richieste” del premier magiaro e a dare “assistenza adeguata, se la situazione lo richiede, in linea con la legge dell’Ue“, l’esecutivo comunitario puntualizza che “la solidarietà è una strada a doppio senso: tutti gli Stati devono contribuire. Non è un menu à la carte, in cui si sceglie la gestione delle frontiere e si rifiutano le decisioni sui ricollocamenti“.
Il botta e risposta – un vicendevole mostrarsi i denti col sorriso sulle labbra – arriva a ridosso dell’attesa sentenza della Corte di giustizia europea, in calendario per mercoledì, sui ricorsi di Ungheria e Slovacchia contro il programma da 98.255 “relocation” da Italia e Grecia (decise due anni fa dal Consiglio europeo, a maggioranza qualificata), a cui le cancellerie di Budapest, Varsavia e Praga si sono rifiutate di partecipare, incorrendo in una procedura d’infrazione, che a breve potrebbe trasformarsi in un deferimento alla giustizia Ue.
Molto dipenderà però dalla decisione della Corte Ue di mercoledì, se accoglierà o meno il parere dell’avvocato generale Yves Bot con cui aveva sollecitato i giudici a “respingere” i ricorsi presentati da Ungheria e Slovacchia, riconoscendo, tra l’altro, come il meccanismo sulle relocation dia un contributo “reale e proporzionato a far sì che Italia e Grecia facciano fronte alle conseguenze della crisi migratoria”.
Il pronunciamento dei giudici di Lussemburgo sarà determinante anche per il negoziato sulla revisione del regolamento di Dublino, in stallo per la ferrea opposizione dei Paesi Visegrad (Ungheria, Polonia, Slovacchia, e Repubblica Ceca) al meccanismo di redistribuzione dei profughi. I dati sui ricollocamenti intanto non lasciano spazio ad esultanze: in tutto, al 31 agosto, sono stati 27.428, di questi 8.212 dall’Italia e 19.216 dalla Grecia. E anche se a Bruxelles sottolineano che i profughi delle nazionalità candidabili arrivati fino al 31 settembre dovranno essere trasferiti negli altri Stati membri, anche oltre la scadenza di settembre, fino a completamento, la strada di fronte è ancora lunga.