La conta dei morti, forse, non finirà mai. Impossibile stabilire con certezza la quantità di persone annegata a seguito del rovesciamento dei due, maledetti, barconi partiti alla volta delle coste europee con un carico di vita, paure, sogni e speranze e mai arrivati a destinazione. Le 170 vittime, dunque, potrebbero essere solo una parte di una tragedia più ampia. Di certo sono una quota delle migliaia di corpi affondati in pochi anni negli abissi del Mediterraneo, probabilmente il più grande cimitero di questo secolo. Così la cronaca, il giorno dopo l'ecatombe, lascia spazio alle domande. In Terris ne ha rivolte alcune a Barbara Molinario, funzionario della costola italiana dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr).
Il 2019 si è aperto con l'ennesima, gravissima, strage di migranti. Eppure il boom dei flussi non è recente. Cosa ci insegnano vicende come questa?
“Che finché non avranno un'alternativa i migranti continueranno ad accettare il rischio di morire in mare. Trovarsi su un gommone con 120 persone rappresenta una situazione di estremo pericolo, anche se non si dovessero verificare avarie. Per cui l'unica strada sicura è quella che passa attraverso l'attivazione di canali legali che consentano a quanti fuggono da guerre e persecuzioni di arrivare in Europa e chiedere asilo”.
Parla dei corridoi umanitari?
“Di quelli e non solo. Oltre ai corridoi ci sono i visti umanitari e quelli per studio. Senza dimenticare le facilitazioni per i ricongiungimenti: le famiglie spesso attendono tempo prima di potersi riunire, perdono le speranze e questo porta molte persone a muoversi. I canali legali, insomma, sono diversi ma coprono numeri molto bassi. Ciò porta ancora tanti migranti a mettersi nelle mani dei trafficanti e ad affrontare viaggi pericolosi”.
L'alternativa, dunque esiste. Come si mette a sistema?
“Aumentando i numeri. In Italia, ad esempio, esiste un programma di reinsediamento da Paesi di primo asilo dei rifugiati che arrivano in aereo attraverso le autorità italiane. Poi ci sono i corridoi umanitari, realizzati grazie a delle associazioni. Se il numero di posti messi a disposizione – a livello globale – fosse adeguato avremmo creato una seria alternativa. Le persone capirebbero che non vale la pena rischiare la vita”.
E questo assesterebbe un colpo mortale anche al racket degli scafisti...
“Esatto: il traffico di esseri umani si sconfigge abbattendo la domanda. Le persone che abbiamo incontrato nei luoghi di sbarco ci hanno detto di essere consapevoli dei rischi che andavano a correre nella traversata del deserto, in Libia e sul Mediterraneo, ma questo, da loro punto di vista, era meno pericoloso di una permanenza del loro Paese”.
Sotto questo aspetto e sotto quello, più ampio di un rallentamento dei flussi migratori, quant'è importante la stabilizzazione politica della Libia?
“E' fondamentale, in particolare per proseguire il lavoro che abbiamo avviato, volto al raggiungimento di quanti hanno un bisogno umanitario, in primis i libici sfollati a causa della guerra. Voglio, però, aggiungere una cosa…”
Dica…
“Altrettanto importante è l'aiuto a Paesi in via di sviluppo che, oggi, ospitano l'86% dei rifugiati. La situazione di quasi tutte le emergenze umanitarie che stiamo gestendo come Unhcr è di un sottofinanziamento a volte estremamente grave. Questo ci porta, spesso, a dover tagliare su bisogni primari. Quindi, va bene stabilizzare la Libia ma diamo anche una mano economica agli Stati che si fanno carico di queste persone. Anche perché l'assenza di prospettive nei campi per rifugiati provoca gli spostamenti secondari”.
L'assenza di prospettive, di certo, è immanente in alcuni centri detentivi libici dove i migranti sono spesso tenuti in condizioni disumane…
“In Libia sono stati riportati casi di sistematica violazione dei diritti umani, fuori e dentro i centri di detenzione. E' una delle sfide che stiamo affrontando. Lo scorso anno abbiamo avviato un programma umanitario di evacuazione umanitaria dal Paese nordafricano, verso il Niger e verso l'Italia”.
Veniamo dai 19 giorni di attesa in mare della Sea Watch e della Sea Eye. In queste ore la ong tedesca sta attendendo il via libera per lo sbarco di altre 47 persone tratte in salvo. Le navi umanitarie sono spesso al centro di polemiche. Qual è la vostra posizione?
“Il soccorso in mare va potenziato perché la priorità deve essere sempre quella di salvare vite umane. I 170 morti questi giorni stanno lì a dimostrare che il sistema non è assolutamente adeguato. Deve poi esserci un meccanismo prevedibile di sbarco per evitare il braccio di ferro dopo ogni salvataggio. Parlo di un sistema che stabilisca la procedura da seguire e dove portare le persone non appena si accerta una situazione di pericolo in mare e indipendentemente da chi la accerta. E' poco importante che siano ong, la Marina, un mercantile o un peschereccio…”.
A maggio si vota per le Europee. Cosa chiedete al nuovo Parlamento Ue sul tema?
“Che ponga al centro della questione il salvataggio delle persone e che venga individuato un meccanismo prevedibile di condivisione fra i Paesi membri. Infine che vengano potenziati i canali legali per far arrivare le persone in fuga”.