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May perde pezzi: saluta anche Gyimah

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Continua a perdere pezzi il governo di Theresa May: mentre la leader britannica è impegnata al G20 argentino, a Londra si conferma il clima pesante per il suo accordo di Brexit e, dopo gli adii di alcuni pezzi da novanta e di altri componenti del suo esecutivo, la premier perde anche Sam Gyimah, sottosegretario all'Università del Regno Unito. Una decisione arrivata, come le altre, in segno di dissenso rispetto all'accordo stipulato con l'Ue, che ha ricevuto l'ok dei 27 ma, a quanto pare, non quello di buona parte dell'establishment britannico. Non che vi sia nulla di ufficiale (anche se la partita in Parlamento si annuncia piuttosto difficile) ma è certo che l'aria attorno a Downing Street assume sempre più le dimensioni di un fronte temporalesco e non solo per le dimissioni di Gyimah ma per la sua manifesta intenzione di votare contro al documento stilato dalla premier.

L'addio

Con Sam Gyimah sono sette i membri del governo che hanno abbandonato la barca in segno di protesta con Theresa May. Personalità da vendere ed etichetta di astro nascente della politica anglosassone, Gyimah ha nel curriculum un paio di esperienze sotto l'ex primo ministro David Cameron, per il quale ha ricoperto il ruolo di segretario parlamentare. Per lui, come per gli altri che lo hanno preceduto, il piano May non è un accordo ma un ulteriore abbassamento alle condizioni dell'Unione europea e, per questo, un motivo sufficiente per ritenere Londra vincolata a Bruxelles in modo ancor più netto di quanto non lo fosse da Paese membro. In sostanza, secondo Gyimah e gli altri che la pensano allo stesso modo, la Gran Bretagna dovrebbe rispettare le regole dell'Ue senza più farne parte.

La versione di Gyimah

Particolarmente critico, l'ormai ex sottosegretario si è dimostrato in un articolo per il Daily Telegraph, nel quale parlava di Londra in modo estremamente pessimista rispetto ai termini dell'accordo stipulato da May: “In questi lunghi negoziati i nostri interessi saranno ripetutamente e permanentemente martellati dai 27 dell'Ue per molti anni a venire. La Gran Bretagna finirà peggio, trasformata da chi stabiliva le regole in colei che le subisce”. E ancora: “Mi è diventato sempre più chiaro che l'accordo proposto non è nell'interesse naziona britannica, e che votare per questo accordo significherebbe prepararci al fallimento. Perderemo, non prendendo il controllo del nostro destino nazionale”.

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