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May al bivio, c'è lo spettro del voto bis

Prima sì, poi no, ora forse. E' sempre più complicata la situazione politica in Gran Bretagna, dove il flop austriaco di Theresa May non ha mancato di provocare ripercussioni e paure in vista del sempre più imminente separation day da Bruxelles, previsto il prossimo 19 marzo. Un appuntamento al quale la premier rischia di arrivare non solo senza un accordo in tasca ma anche senza la stessa idea di Brexit. Un po' perché il rigetto della proposta durante il vertice di Salisburgo non ha fatto altro che aumentare malumori e tensioni fra Londra e Bruxelles, dall'altra perché, sul fronte interno, i Tories ne sono usciti notevolmente indeboliti, permettendo al governo ombra Labour di tirare nuovamente fuori non solo l'ipotesi referendum ma anche quella delle elezioni anticipate.

La posizione di Corbyn

Il leader laburista, Jeremy Corbyn, è stato abbastanza chiaro: la sua intenzione è quella di rispettare la democrazia (di cui il voto referendario è l'emblema per eccellenza) e, per questo, la prima opzione sul tavolo, perlomeno per quanto lo riguarda, restano le nuove elezioni generali, così da consentire a un governo laburista di negoziare in prima persona con l'Unione europea per stabilire tempi, modi e regole dell'uscita della Gran Bretagna dall'unione. Un mese fa era stato il ministro ombra Sir Keir Starmer a riportare a galla l'idea del nuovo referendum, creando non poche divisione all'interno dei labour ma anche rimettendo il quesito al Congresso del partito, come del resto ha ribadito anche Corbyn. Il leader dell'opposizione va nella direzione delle elezioni anticipate, più o meno sicuro che i consensi del popolo britannico arridano al suo partito, piuttosto che premere sul nuovo voto dei cittadini sul tema Brexit. A fine agosto, lo stesso segretario al Commercio internazionale, Barry Gardiner, aveva spiegato che un eventuale nuovo referendum avrebbe significato un clima di disobbedienza civile.

Scenari da Brexit

Corbyn non ha chiuso all'idea del nuovo voto referendario, affermando alla Bbc di essere “obbligato” a rispettare il voto della conferenza annuale del partito. D'altro canto, però, il clima di poca coesione dimostrato sul tema all'interno dei Labour resta una variante della quale tenere il debito conto, considerando che il k.o. dell'accordo fra May e Bruxelles non è ancora definitivo e che le prospettive di una hard Brexit potrebbero avere ancora qualche chance di tradursi in realtà, con tutte le conseguenze del caso. D'altronde, era stata la stessa May a scongiurare categoricamente l'ipotesi del nuovo voto anche se prima che il buco nell'acqua di Salisburgo andasse a rimescolare carte e scenari. Il paradosso, è che l'incertezza sull'accordo per la Brexit sembra aver provocato smottamenti politici in entrambi gli schieramenti, piuttosto che compattarli (almeno uno dei due). Tutto starà nella prossima mossa di Theresa May: tornare sugli scudi Tory e avviarsi verso un possibile caos fra Uk e Ue, o aprirsi a nuove concessioni, rischiando seriamente sul fronte interno, tra le fronde dei brexiteers puri e le opposizioni. 

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