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Massacro a Christchurch, Negri: “Il suprematismo è globale”

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Quarantanove morti. Un bilancio drammatico quello presentato dalla strage di Christchurch, tanto violenta quanto gratuita, insensata, frutto di un odio che impone una forte presa di coscienza sul momento storico vissuto dalla nostra società. Perché l'attentatore, autore di un massacro in diretta streaming, non aveva nel mirino solo i musulmani ma, indirettamente, tutti quegli aspetti che plasmano il grado di civiltà di un Paese: l'accoglienza, l'integrazione, il dialogo. A essere colpita è la Nuova Zelanda, ritenuta uno Stato modello sotto questi aspetti, colpita al cuore, come spiegato dalla premier Jacinda Ardern, “perché rappresentante della diversità, della compassione, della gentilezza”. Una violenza, quella di Christchurch, da analizzare necessariamente esulando dal semplice contesto locale, approfondendone gli aspetti che la pongono, per matrice e ispirazione, su un piano globale. In Terris ne ha parlato con Alberto Negri, giornalista a lungo inviato in Medio Oriente e analista geopolitico. 

 

Dottor Negri, il massacro avvenuto in Nuova Zelanda implica una riflessione profonda sulle cause scatenanti di una tale violenza. A quali chiavi di lettura si prestano i fatti di Christchurch? Erdogan ha parlato di islamofobia…
“C'è un fenomeno, quello del suprematismo bianco, che è stato largamente sottovalutato negli ultimi anni. Lo dice una statistica: nel 2017, secondo i dati americani, il 60-70% degli omicidi di stampo politico, ideologico o religioso, sono stati messi in atto da suprematisti bianchi o da gruppi di estrema destra, neonazisti. E sono largamente superiori a quelli commessi dagli estremisti islamici. Da qui la sottovalutazione del fenomeno, a partire proprio da quell'agosto 2017, quando a Charlottesville, in Virgina, fu indetta una manifestazione per la rimozione della statua del generale Robert Lee. Alla contro-manifestazione ci fu un omicidio da parte di un estremista che lanciò la sua auto contro la folla uccidendo una ragazza. Quello che è interessante è che allora, anche i moderati americani rimproverarono a Trump una presa di posizione molto tiepida, perché la sua elezione è stata ritenuta, abbastanza unanimemente dagli osservatori americani – con le sue dichiarazioni contro le minoranze, i latinos e i musulmani – come una sorta di incoraggiamento a questo mondo. Un mondo marginale ma molto esteso dal punto di vista globale quello del suprematismo bianco e dell'estrema destra”.

Fino a che punto?
“Si contano ormai migliaia di siti negli Stati Uniti, in Europa e in altre parti del mondo, che in qualche modo possono essere ricondotti a quest'ideologia suprematista in cui i bianchi, oggi, ritengono che il radicalismo islamico e l'immigrazione siano da combattere anche con la violenza. Non è un caso che questo fenomeno sia sì locale ma riferito a eventi che sono avvenuti a migliaia di chilometri di distanza. L'attentatore di Christchurch, ad esempio, ha un documento che non solo inneggia a Trump (anche se lo critica da altre parti) ma che in qualche modo fa riferimenti a fatti ed eventi, recenti o del passato, che si rifanno a correnti islamofobe. Quindi ci troviamo di fronte ad attentatori singoli ma che, attraverso la rete, hanno dei contatti di tipo globale. E questo lo vediamo dai documenti che elaborano: si tratta di testi lunghi che fanno spesso riferimento allo stragista di Utoya o ad altri episodi che fanno parte di un mondo che è molto più globalizzato dei fatti locali a cui facciamo riferimento. Questa dimensione fa pensare a una sorta di internazionale del suprematismo o di grande e violenta patria bianca che non conosce confine e che prende ispirazione da gesti compiuti anche molto lontano da dove avvengono poi le stragi”.

Il web come strumento veicolante, un po' come accade per il jihadismo che si serve anche della rete per raccogliere proseliti…
“In parte possiamo avvicinare le due cose, proprio perché anche questi gruppi sfruttano molto internet. Questo attentato, peraltro, ha la novità quasi assoluta di essere stato trasmesso in streaming. Internet è un po' la base su cui corrono e scorrono le idee di questi gruppi: negli Stati Uniti ci sono forti movimenti di estrema destra, alcuni storici, altri più recenti ma hanno riferimenti evidenti a tutto l'apparato dell'estremismo di destra. In Australia, ad esempio, è vero che si tratta di gruppi estremisti minoritari ma c'è anche un'atmosfera che li ispira. Per gli Usa (ma non solo per loro) abbiamo visto che il riferimento a Trump è molto frequente. Per l'Australia, invece, ci sono stati degli episodi di radicalismo islamico che hanno ispirato una controreazione, c'è stata un'immigrazione contrastata anche in maniera molto decisa e c'è un partito, One Nation, che nell'ottobre dello scorso anno ha presentato a Canberra una mozione per la condanna del razzismo anti-bianco, non passata per soli 3 voti. Un piccolo partito, che nel Parlamento australiano aveva preso molti consensi, ci dice che i gruppi suprematisti bianchi godono di uno spazio pubblico che prima non avevano”.

In che senso?
“Internet amplifica moltissimo la diffusione di documenti che si rifanno a idelogie non solo suprematiste ma anche antisemite, islamofobe e di difesa della razza bianca. Ci sono movimenti in Europa che si rifanno a questi aspetti, altri che invece hanno una base religiosa. Ci sono movimenti non dichiaratamente razzisti ma che possiamo definire di nazionalismo bianco, perché pur non affermando la superiorità dei bianchi, sottolineano sempre il timore che i cambiamenti demografici dell'immigrazione possano cambiare i dati della cultura bianca ed europea. Questi sono alcuni aspetti che ci fanno riflettere su questo attentato. Forse è vero che la matrice appartenente a gruppi minoritari ma, se andiamo a vedere i dati della loro diffusione globale, ci rendiamo conto che non si tratta solo di fatti locali ma sono una spia di malessere generale, innescato da diversi fattori che si rifà a ideologie razziste, neonaziste e antisemite di cui conosciamo molto bene le origini”.

La sovraesposizione non sempre ben veicolata di determinate tematiche, anche sul piano politico, può favorire l'ascesa di questi sentimenti?
“Quello di Canberra è un caso abbastanza evidente. Quando un piccolo partito ottiene quasi una maggioranza su temi come questi significa che esiste un ambiente politico molto forte. L'islamofobia c'è, scatenata dagli attentati del fondamentalismo ma conta, secondo me, il fattore immigrazione che, accompagnato alle crisi economiche e sociali, apre crepe dentro la società e la fa apparire insicura. E questo viene detto molto spesso da partiti al comando o quotidianamente sulla scena politica, dal movimento della Le Pen a Orban, fino allo stesso governo polacco. Quindi è vero, certi temi amplificati, esasperati e ripetuti danno spazi di 'giustificazione idelogica' anche a posizioni estreme che diventano pericolose e destabilizzanti come quelle dei suprematisti bianchi. In un certo senso, noi sappiamo perfettamente che queste sono minoranze ma sono pericolose perché possono attivare dentro la società delle reazioni incontrollabili”.

E' possibile che in questa area del mondo il fenomeno suprematista sia stato sottovalutato al punto da spingere alcuni gruppi a rivendicare la propria esistenza?
“Fino a poco tempo fa la Nuova Zelanda sembrava immune dai malesseri che c'erano in altre zone del mondo, anche in Australia. Gli inquirenti dovranno capire, sulla figura di questo Tarrant, perché è accaduto lì. Sarà necessario capire se l'attentatore aveva fin dall'inizio l'intenzione di colpire a Christchurch o se prima aveva progettato di farlo in Australia, o se era già un elemento sotto la lente delle autorità. Il fatto che sia andato in Nuova Zelanda mi fa pensare che potesse essere già sotto osservazione da parte degli inquirenti. Forse potrebbe essere una spiegazione ma qui siamo nel campo delle ipotesi. Ora dovranno dirci le autorità locali chi sono questi personaggi, Tarrant e gli altri arrestati, se sono connessi e in che modo a questa strage. Saranno loro che dovranno arricchirci di dettagli e informazioni utili a ricostruire il quadro”.

Damiano Mattana: