I grandi della terra hanno tributato l’ultimo saluto a Shimon Peres. Le esequie dell’ex capo di Stato israeliano, scomparso nei giorni scorsi, si sono svolte sul monte Herzl di Gerusalemme alla presenza di numerosi statisti, tra cui il presidente Usa Barack Obama, il presidente francese Francois Hollande, il presidente tedesco Joachim Gauck, il premier Matteo Renzi e il presidente palestinese Abu Mazen.
I rappresentanti della comunità internazionale si sono alternati nell’elogio funebre del premio Nobel per la Pace 1994. Ricordando l’impegno di Peres per la pace in Medio Oriente il premier israeliano Benjamin Nethanyau ha sottolineato che “la forza è solo un mezzo, ma il fine è la pace”. Nella regione in tumulto, ha spiegato, “in cui solo i forti resistono, non si raggiungerà la pace se non garantendo la nostra potenza. Ma gli obiettivi – ha aggiunto indicando il presidente palestinese Abu Mazen, seduto in prima fila – sono la prosperità e la pace, per noi e per i nostri vicini”.
Toccanti gli interventi di Bill Clinton e Obama. L’ex presidente Usa ha parlato di Peres come del “più grande sognatore della storia di Israele. Un saggio campione della nostra comune umanità”. Quello attuale ha poggiato la mano sulla bara è ha detto “Todar rabbà aver yakar” cioè “grazie tante amico mio”. Successivamente l’inquilino della Casa Bianca ha ricordato che “il popolo ebraico non è nato per governare un altro popolo. Non credo che Peres fosse un ingenuo: Israele ha vinto tutte le guerre ma non quella maggiore: quella di non aver più bisogno di vincere”.
Obama ha raccontato che Peres insisteva nel vedere tutti gli esseri umani come aventi diritto alla medesima dignità, “i palestinesi inclusi i quali, secondo lui, hanno diritto all’eguaglianza e alla sovranità. Per questo suo senso di giustizia e per la sua analisi delle condizioni di sicurezza di Israele, egli comprese che per la difesa di Israele i palestinesi devono avere un proprio Stato“.
Il presidente Usa ha anche rilevato che sia gli Stati Uniti sia Israele furono fondati da “idealisti testardi”. “La nostra amicizia personale – ha detto – derivava anche dal fatto che entrambi abbiamo vissuto vite molte improbabili. Entrambi rispecchiamo le storie delle nostre Nazioni. La storia di Shimon è quella di un popolo che per centinaia di anni non ha rinunciato al sogno di tornare alla propria patria e non ha mai rinunciato a credere nel bene, nemmeno di fronte ai cancelli delle camere a gas”. Con la morte di Peres per Israele si conclude un periodo storico e adesso il suo futuro, ha concluso, “è affidato nelle mani della nuova generazione'”.