Il presidente filippino Rodrigo Duterte ha minacciato di far uscire il Paese dall’Onu, dopo le critiche alla sua politica sulla droga. Lo riferisce la Cnn. Da quando è stato eletto, il 10 maggio, promettendo un giro di vite contro criminalità e droga, l’Onu stima ci siano state 850 persone uccise, 650 delle quali in sole sei settimane. Tre giorni fa, la Commissione diritti umani ha invitato Duterte ad adottare misure per porre fine agli assassini mirati e agli omicidi extragiudiziali. L’Onu “è inutile” ha detto Duterte.
Proprio il presidente delle Filippine, all’inizio di agosto ha accusato di legami con il traffico di droga oltre 150 tra giudici, sindaci, deputati e militari. Duterte ha subito rimosso i militari e poliziotti indicati e ha revocato la scorta ai politici menzionati. Il neopresidente ha fatto della lotta alla droga un cavallo di battaglia. Quasi 300 sospetti spacciatori di droga sono stati uccisi nelle Filippine nelle prime tre settimane della sua presidenza.
In discussione dunque non c’è l’obiettivo, che è condiviso, ma i metodi per ottenerlo. La sistematica violazione dei diritti umani, le sommarie esecuzioni non sono la strada corretta, secondo l’Onu, per debellare la piaga della droga.
Il relatore delle Nazioni Unite, Christof Heyns, ha puntato il dito contro le uccisioni e l’annullamento della libertà di espressione, condannando le dichiarazioni del Presidente eletto delle Filippine, Rodrigo Duterte, che giustifica l’uccisione di giornalisti.
Recentemente, Duterte ha infatti detto in una conferenza stampa che “solo perché sei un giornalista non significa che sei esente dall’essere ucciso se sei un figlio di una cagna”. “Ammettiamo che ci sono giornalisti che sono morti inutilmente,. ha detto ancora – ma se sei in basso per me puoi morire, non mi interessa”. LìOnu è insorto, ma Duterte non ha preso bene le critiche.