I jihadisti dell’Isis proseguono nel tentativo di formare un vero e proprio Stato, e dopo aver coniato la moneta del Califfato, pubblicano una sorta di ‘codice penale’ che sancisce i reati ‘capitali’ e le punizioni connesse. La blasfemia è punita con la morte: se rivolta contro il Profeta non lascia scampo, anche in caso di pentimento del sacrilego. Non meno dura la sanzione per l’adulterio: lapidazione fino alla morte per gli sposati, 100 frustate e l’esilio per chi non avesse contratto matrimonio.
E ancora: verranno messi a morte i colpevoli di sodomia, e in particolare di omosessualità, comprese le loro vittime. Stessa sorte per chi “spia in favore dei miscredenti”. Morte per crocifissione a chi invece si macchia di omicidio e rapina – pena capitale ma senza crocifissione per chi ‘uccide soltanto’ nell’ambito dei reati connessi al ‘banditismo’. Tra le punizioni per questi ultimi anche l’amputazione di una mano e una gamba – mentre i ‘semplici’ ladri perderanno solo un arto. Decine di frustate invece per chi è trovato a bere alcolici, a rubare, a diffamare.
Il codice, spiega il Middle East Media Research Institute (Memri) che lo ha scovato online qualche giorno fa, è un “avviso e un ‘promemoria’ per la popolazione che vive sotto la legge dello Stato islamico”, e si rifà all’osservanza della legge islamica così come la interpretano i jihadisti. I quali a loro volto sono bollati come “senza Dio” dalle principali autorità religiose musulmane di ogni confessione. Il documento inizia con alcuni versi del Corano in cui si “sottolinea la necessità per i musulmani di aderire alla Sharia”. Non è la prima volta che i seguaci del califfo al Baghdadi ‘diramano’ direttive rivolte ai residenti nelle zone controllate: in passato è spuntato un ‘vademecum’ per i reporter che volessero recarsi in quelle regioni dominate dall’Isis, o il tariffario per “gli schiavi cristiani”, in particolare donne e bambini.