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L'intreccio segreto tra mafie e immigrazione

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Tu c'hai idea di quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno”. La frase choc pronunciata in un'intercettazione nell'ambito dell'inchiesta di Mafia Capitale ha fatto emergere per la prima volta all'attenzione dell'opinione pubblica i risvolti affaristici che possono nascondersi dietro al fenomeno migratorio. 

Non sono soltanto le organizzazioni criminali nazionali ad aver tratto vantaggio dalla gestione del traffico di esseri umani: questo lato oscuro dell'immigrazione, infatti, sta favorendo anche la crescita esponenziale sul suolo italiano dei clan stranieri. A confermarlo è il Rapporto semestrale della Direzione Investigativa Antimafia pubblicato pochi giorni fa. Nel testo si legge che “per le organizzazioni criminali straniere in Italia il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, con tutta la sua scia di reati “satellite”, per le proporzioni raggiunte, e grazie ad uno scacchiere geopolitico in continua evoluzione, è oggi uno dei principali e più remunerativi business criminali“. In particolare, sembrano essere i clan nigeriani ad aver conosciuto negli ultimi anni un progressivo radicamento nel tessuto criminoso del nostro paese. Una realtà portata alla luce già nel 2016 dalla relazione della Dia in cui gli analisti indicavano quella nigeriana come “la mafia straniera più feroce e strutturata in Italia”

La stampa britannica ed il patto tra mafie

Il peso crescente della consorteria criminale originaria del paese centroafricano non è passato inosservato su alcuni tra i più autorevoli media anglosassoni. Il quotidiano progressista “The Independent” ne aveva parlato già nel 2011 in un articolo di Chiara Caprio. Nella sua inchiesta, l'autrice aveva denunciato l'esistenza di un'alleanza mortale tra le bande italiane e quelle nigeriane siglata in settori d'interesse comune quali il traffico di esseri umani e la vendita di droga. L'inchiesta del giornale inglese aveva dato spazio alle conclusioni di Giovanni Conzo, il “Maradona dell'antimafia” ed attuale pm a Benevento, secondo il quale questa consorteria ha trovato nel nostro paese l'humus ideale per far prosperare i suoi affari legati soprattutto alla droga e alla prostituzione: da una parte, per la presenza della mafia locale che controllando il territorio ha bisogno di “manovalanza”, dall'altra per la predilezione dei clienti italiani nei confronti delle ragazze nigeriane sfruttate. 

La stampa britannica è tornata ad occuparsi un anno fa dell'asse tra mafie autoctone e clan del paese centroafricano. Il prestigioso “The Times” si è concentrato su quanto starebbe avvenendo in Sicilia dove Cosa Nostra avrebbe stretto un patto d'acciaio con i “Vikings”, gang attiva sin dagli anni '80 a Lagos. Nell'articolo inglese si accenna al ruolo attivo conquistato da questi ultimi nel mercato dell'eroina del quartiere palermitano di Ballarò. Loro rivali sarebbero, invece, i connazionali del gruppo noto come “Black Axe”. La DIA ha già indicato questo clan come il più pericoloso della mafia cosiddetta etnica anche perchè forte di “un vincolo associativo esaltato da una forte componente mistico-religiosa”. Il tribunale di Palermo nel 2016 ha condannato tre appartenenti a questa confraternita riconoscendo loro, per la prima volta, l'aggravante del metodo mafioso. Secondo l'articolo uscito sul “The Times” un anno fa, sarebbero emerse connessioni tra il clan dell'Ascia Nera ed il boom di sbarchi sulle coste italiane fatto registrare nel 2016.  L'arrivo di migliaia di ragazze nigeriane sarebbe stato favorito da questi gruppi criminali che, facendo leva sull'impossibilità di un controllo rigoroso in una situazione emergenziale,  avrebbero avuto poi gioco facile nel ridurle in schiavitù e destinarle nel giro della prostituzione. 

I moniti dei vescovi nigeriani

In Nigeria è la chiesa locale ad aver levato alta la sua voce per denunciare la trappola criminale in cui rischiano di cadere le ragazze che scelgono di tentare il viaggio della speranza verso l'Italia per mano di connazionali (e non) senza scrupoli. La Conferenza Episcopale ha lanciato l'allarme all'opinione pubblica nazionale con una dichiarazione in cui si legge: “Donne e bambini nigeriani sono vittime ogni anno della tratta della prostituzione […] all'esterno della Nigeria. A loro viene negato il più elementare dei diritti umani e vengono sottoposti a sofferenze e abusi impensabili”. Per combattere quella che viene considerata una vera e propria piaga nazionale, i presuli africani hanno indetto dal 2014 una giornata speciale di preghiera. La chiesa locale conta in questo modo di sensibilizzare la popolazione su questo tema con cerimonie pubbliche, sermoni vertenti proprio sulla disumanità della tratta di nuove schiave e incontri pubblici che coinvolgono anche i media. 

L'episcopato nigeriano è consapevole che l'Italia è la principale destinazione per le ragazze destinate, inconsapevolmente, a finire schiave al fine di generare profitti che si spartiscono le mafie tradizionali e quelle cosiddette “etniche”. La voce della Chiesa è stata la più autorevole nel Paese a segnalare il pericolo che il sogno europeo di migliaia di ragazze possa trasformarsi in profitto per bande di spregiudicati pronti a tutto, anche perchè forti di un accordo con le cosche italiane. 

L'arcivescovo di Jos, Ignatius Ayau Kaigama ne ha parlato proprio in una conferenza internazionale contro la tratta di esseri umani quando ha detto che “l'80 per cento delle ragazze nigeriane che raggiungono l'Italia, lo fa per motivi di traffico sessuale”. Per invocare un freno al business dei gruppi criminali, la Conferenza Episcopale ha agitato la bandiera della difesa della dignità umana ha richiesto che la tratta delle donne venga proclamata “disonore nazionale” dal governo federale. 

La schiavitù dietro i barconi

Anche per l'OCCRP, progetto internazionale di investigazione sulla corruzione e il crimine organizzato fondato nel 2006, l'arrivo di queste giovani vittime potrebbe essere spesso voluto ed agevolato dalle bande mafiose di connazionali intenzionate a lucrare sullo sfruttamento del loro corpo. In un documento del consorzio redatto in inglese si legge: “Le donne rappresentano solo il 10% del totale degli arrivi di migranti in Italia, ma l'IOM ritiene che l'80% delle ragazze nigeriane che arrivano nel paese vengano destinate al traffico della prostituzione.  A Palermo, le donne nigeriane sono costrette a lavorare in schiavitù sessuale, vendendo i loro corpi per € 20 (US $ 23) al fine di pagare debiti esorbitanti fino a € 20.000-40.000 (US $ 22.713-45.425). I debiti sono assegnati da gruppi di trafficanti come i Vikings, che spesso le rapiscono o costringono a fare la pericolosa traversata del Mediterraneo con promesse di lavoro legale.” 

Un'alleanza duratura?

L'allarme degli inquirenti italiani sull'intreccio di interessi venutosi a creare tra mafie italiane e bande straniere – con i nigeriani al primo posto – ha avuto, dunque, una certa visibilità nel mondo dei media esteri. Un'attenzione che molto spesso non c'è stata, invece, da parte di buona parte degli organi d'informazione italiani, più attenti a dare risalto alle polemiche politiche relative al fenomeno migratorio piuttosto che ai dati concreti forniti dalle Forze dell'ordine.

Agli osservatori internazionali, al contrario, non devono esser sfuggite le pericolose conseguenze che potrebbero essere generate dal consolidamento di gruppi criminali stranieri proprio su un territorio delicato come quello italiano dove sono già storicamente ed ampiamente radicate le organizzazioni mafiose autoctone. Il boom dei flussi migratori degli anni passati e la conseguente possibilità di allargare il racket – grazie anche ad esso – per loro più prolifico – quello della prostituzione – pare aver conferito una maggior forza contrattuale ai clan nigeriani che si stanno dimostrando sempre meno ossequiosi nei confronti delle cosche tradizionali. Ne ha parlato esplicitamente una relazione della Direzione Investigativa Antimafia: “Gli altri gruppi di matrice etnica – si legge nel documentooperano tendenzialmente con il beneplacito delle mafie storiche mentre in altre zone dimostrano una maggiore autonomia che sfocia in forme di collaborazione quasi alla pari”. 

D'altra parte, recenti operazioni di polizia come quella portata a termine a Mestre pochi giorni fa – e di cui hanno dato notizia giornali locali e nazionali – hanno mostrato quanto sia sempre più capillare il sistema affaristico-criminale dei gruppi nigeriani nelle città della Penisola. La loro principale fonte insieme alla droga resta lo sfruttamento della prostituzione, un business che incrementerebbero grazie all'immigrazione clandestina, come registrato anche dalla documentazione specifica prodotta dalla Commissione Parlamentare Antimafia. 

Dunque, non è detto che “la mortale alleanza” di cui ha parlato già nel 2011 il “The Independent” sia destinata a durare anche in futuro. Il cambio di equilibri in atto nella realtà criminale italiana, con Cosa Nostra mai stata così debole – come sostenuto anche dal vice questore aggiunto Roberto Cilona, capo della Dia di Agrigento – e le bande nigeriane che, al contrario, si distinguono “per le modalità particolarmente aggressive” (relazione Dia 2016) potrebbe determinare lo scenario futuro di una sanguinosa guerra “mondiale” delle mafie? 

Questo lato oscuro dell'immigrazione non può continuare ad essere sottovalutato o taciuto per motivi di opportunità di vario genere o per timori di strumentalizzazioni. La complessità del fenomeno richiede che il lavoro delle forze dell'ordine e della magistratura sia supportato dall'intervento concreto degli organismi internazionali deputati a farlo. Così come un impegno maggiore nel denunciare i risvolti negativi di un fenomeno così difficile ed ampio sarebbe auspicabile dal mondo dei media e dalle diverse agenzie educative e culturali sulla scia di quanto fatto dalle chiese locali a cui non è mancato il coraggio di indicarli. Non si può più restare in silenzio nell'omertà e nella paura generale, ma è tempo – piuttosto –  di far emergere la cruda realtà affrontando un dramma che ci supplica di fare giustizia e verità.

Nico Spuntoni: