Dietro l’attentato compiuto vicino all’ambasciata italiana a Tripoli ci sarebbe la mano del generale Khalifa Haftar. Ne sono convinte le forze speciali di deterrenza (Rada) del governo di unità nazionale libico che hanno rivelato i nomi dei tre terroristi (due morti e uno in fuga) coinvolti nell’esplosione di un’autobomba piazzata a due passi dalla nostra rappresentanza diplomatica. Tutti farebbero parte della rete militare vicina ad Haftar, che non riconosce l’esecutivo guidato da Al Serraj ma quello di Tobruk. E proprio quest’ultimo, poche settimane fa, aveva paragonato la riapertura dell’ambasciata italiana nella capitale libica a una vera e propria occupazione.
“L’obiettivo del fallito attacco all’ambasciata d’Italia era politico, ovvero quello di compromettere la sicurezza nella capitale”, ha affermato il portavoce del Rada Ahmed Salem, citato dal Libya Observer, che ha identificato in Milood Mazin e Hamza Abu Ajilah i due attentatori rimasti uccisi in auto e in Omer Kabout, ancora ricercato, il terzo complice.
Il ruolo di Milood Mazin e Hamza Abu Ajilah sarebbe stato quello di parcheggiare l’autobomba vicino al muro di protezione dell’ambasciata, mentre Kabout avrebbe dovuto farli salire successivamente sulla propria auto. Sempre secondo il portavoce delle Rada, Omer Kabout sarebbe un alto ufficiale dell’operazione Dignità nella Libia occidentale, operativo a Tripoli per supervisionare riunioni segrete dei fedeli al suo gruppo nella sua casa in Airport Road.
Lo scorso 13 gennaio il ministero degli Esteri del “governo” di Tobruk, guidato da Abdullah al-Thani, aveva inviato mercoledì una “nota diplomatica urgente” a tutte le ambasciate e i consolati libici all’estero per informarli di quello che veniva definito “il ritorno militare dell’ambasciata italiana” a Tripoli. “Una nave militare italiana carica di soldati e munizioni è entrata nelle acque territoriali libiche. Si tratta di una chiara violazione della Carta dell’Onu e una forma di ripetuta aggressione”, sosteneva Tobruk. Alcuni commentatori politici avevano in seguito deplorato il “linguaggio ostile” della nota, affermando che le autorità dell’est del Paese utilizzano due pesi e due misure “non avendo commentato l’entrata nelle acque libiche di una portaerei russa a bordo della quale è salito Haftar”.