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La Tunisia è il Paese da cui partono più jihadisti

La Tunisia è uno dei Paesi arabi maggiormente istruiti: i passi avanti compiuti in ambito politico, tra l’approvazione di uno nuova costituzione e le elezioni legislative previste per domenica, sono molti e significativi. Ma la disoccupazione resta ancora alta e i suoi giovani cittadini, secondo un’indagine uscita oggi sul New York Times, rappresentano il maggior numero di miliziani entrati a far parte dell’autoproclamato Stato Islamico.
Secondo la testata statunitense, infatti, il numero di under-30 che da Tunisi è partito per l’Iraq o per la Siria ammonta oggi ad almeno 2400 persone, compresi coloro che sono stati arrestati in partenza, ancor prima di unirsi alle fila del gruppo jihadista. Nella maggior parte dei casi sono diplomati e disoccupati che, come emerge dalle interviste effettuate dalla testata, lamentano che le nuove libertà politiche hanno “di poco migliorato la vita quotidiana”. Molti si sentono poco tutelati dalle istituzioni del proprio Paese e per nulla liberi di esprimere dissenso, e si trovano tanto scettici da cercare nell’ideologia jihadista la propria alternativa di vita e pensiero: “Lo stato islamico – afferma un giovane tunisino – è un vero califfato, un sistema equo e giusto, dove non bisogna seguire gli ordini di qualcuno perché ricco e potente”. E nonostante sia solo una minoranza quella che ha espresso il proprio sostegno all’Isis, tutti i tunisini under-30 conoscono almeno una persona che si è unita ai miliziani jihadisti, o che addirittura è morta combattendo.

Il quotidiano statunitense ha condotto una serie di interviste in alcuni bar della cittadina di Ettadhamen, e quel che è emerso è che decine di giovani, per elevare il proprio standard di vita, sono disposti ad aderire alla battaglia: “Vogliamo uno Stato islamico, inizierà dalla Siria”. Per alcuni il califfato rappresenta un mezzo divino per metter fine ai confini posti da Francia e Germania alla fine della Prima Guerra Mondiale; per altri, invece, è l’unica speranza rimasta per ottenere “diritti veri e giustizia sociale”.

E intanto il mondo politico tunisino lancia l’allarme: il leader di Ennahda, il principale partito musulmano del Paese, ha affermato aver sovrastimato il potere della democrazia nella lotta all’estremismo violento. Uno dei rappresentanti del partito, Ferjani, afferma quanto sia importante ora lo sviluppo economico per annientare questo radicalismo: “Senza sviluppo sociale – ha affermato – non penso che la democrazia possa sopravvivere”.

Giulia Capozzi

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