La Grecia si appresta a lanciare la più grande opera di privatizzazione dell’intero continente europeo, dal valore di otto miliardi di euro d’investimenti. L’edizione online de Il Sole 24 Ore scrive che il paese ellenico, da poco più di un anno uscito dalla terapia “da cavallo” della Troika (il terzetto di creditori dell’Ellade ovvero Unione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale) e da un mese esatto guidato al governo dal partito di centrodestra Nea Democratia, intende riaprire la stagione degli investimenti esteri per rafforzare la propria economia dopo i quattro anni dell’esecutivo Tsipras II che si opponeva alla vendita ai privati per prima cosa vendendo l’ex aeroporto della capitale, l’Hellenikon.
La rinascita ateniese
L’intento è quello di rinnovare e rendere attraente e proficua una porzione di Atene molto vasta che comprende il centro culturale “Stravros Niarchos” ideato dall’architetto italiano Renzo Piano, il Pireo a gestione cinese e l’ex aeroporto, in disgrazia dal 2001. Gli otto miliardi d’investimenti potrebbero creare 75mila posti per riqualificare un’area da 6,2 milioni di metri quadrati e dare vita al più grande parco metropolitano d’Europa (grande circa 2 milioni di metri quadrati), strutture alberghiere e commerciali di lusso, centri sportivi, casinò, sedi per enti di ricerca un ampliamento del porto del Pireo. Ma la buona volontà non basta per vendere il proprio patrimonio, altrimenti si sarebbe fatto prima durante gli anni della crisi. L’area dell’ex aeroporto è in vendita dal 2011. Il partito al governo, Nuova Democrazia, addossa la colpa dello stallo delle privatizzazioni al governo Syriza parlando – come scrive Il Sole riportando le dichiarazioni di un portavoce di Nd – “ostilità preconcetta al big business, ricorrendo a pretesti”. Gli investitori parlano di anni di prese in giro ai loro danni e la stessa Unione europea si è chiesta come mai Atene, stretta nella morsa dell’austerità, non avviasse l’operazione.
L’area della discordia
Forse unico caso di profeta in patria, il leader di Syriza anni fa disse che “chi voleva la vendita dell’Hellenikon doveva votare il centrodestra”. Alle scorse elezioni hanno vinto i conservatori guidati dal nuovo erede della dinastia Mitsotakis, Kyriakos, e l’area dell’ex scalo ateniese probabilmente finirà in mano a una cordata formata dalla società greca Lambda, la cinese Fosun e un altro partner degli Emirati arabi per investimenti turistico-immobiliai. Ovverlo farlo diventare un mega-resort con annesso il primo megacasinò della Grecia. Ma gli ostacoli sono sempre dietro l’angolo, quando si parla dell’Hellenikon. A fine settembre ci sarà un incontro decisivo tra il ministro dello Sviluppo e degli investimenti greco Adonis Georgiadis e i rappresentanti della statunitense Mohegan, operante nel settore del gioco d’azzardo. Il ministro avrebbe dichiarato: “Senza l’offerta per il casinò l’investimento sull’Helleniko non può procedere”. Nubi si addensano anche sull’investimento della cinese Cosco nell’area del Pireo, dove è previsto l’ampliamento dell’offerta turistica. Da aprile parte del Pireo è posto sotto il vincolo dell’interesse archeologico, un ostacolo a ulteriori stanziamenti cinesi per passare dal 51 al 67% dell’Autorità portuale.
La Troika
Tali investimenti servirebbero a garantire la percentuale di avanzo primario che la Grecia deve poter mantenere essendo ancora in “libertà vigilata”, intorno ai tre punti e mezzo di Pil fino al 2022. Un obiettivo non irrealistico in quanto i durissimi anni di cura imposti dalla Troika hanno determinato un miglioramento dei conti economici. Oggi il paese ellenico è in condizioni migliori, con i conti più ordine rispetto al rapporto deficit/Pil al 15% del 2009 anche se gli otto anni di forti interventi finanziari hanno portato – tra il 2010 e il 2015 – a una perdita di produzione della ricchezza del 25%, al rischio di uscita dalla moneta unica e forti impatti sociali con la disoccupazione al 20% nel 2015, dopo essere arrivato al 27% nel 2015.