Non solo un “no” secco ma addirittura il marchio dell'assurdità: ingredienti sufficienti a far scadere l'affare Groenlandia nel novero dei propositi piuttosto che degli affari concreti. Il governo gronelandese non ne ha voluto nemmeno parlare, bollando l'idea di Donald Trump (che voleva comprarsela) come una pista surreale, versione peraltro supportata dalle autorità danesi. Non è chiaro se e quanto tutto questo abbia influito sull'umore del presidente americano. Fatto sta che, con una tempistica dai più ritenuta quantomeno sospetta, il Tycoon ha deciso di non recarsi in Danimarca, dove era previsto un bilaterale con la premier Mette Frederikesen con la quale, tra le altre cose, si sarebbe dovuto discutere proprio del possibile affare del secolo. Niente di tutto questo. Anzi, con la premier danese Trump non ci parlerà proprio, archiviando il viaggio nello Jutland con un tweet alquanto emblematico: “La Danimarca è un Paese molto speciale con un popolo incredibile ma sulla base dei commenti del primo ministro Mette Frederiksen, che non ha alcun interesse a discutere l'acquisto della Groenlandia, posticipo ad un altro momento il nostro incontro previsto tra due settimane”.
Nulla di fatto
Almeno per il momento non se ne parla proprio di regalare al popolo americano un affare come quello concluso dal segretario di Stato William H. Seward sotto la presidenza di Andrew Johnson nel 1867, quando gli Stati Uniti acquistarono l'Alaska (futuro Stato della Federazione) dalla Russia. Probabilmente Trump non si aspettava un atteggiamento simile da parte della Danimarca, convinto forse di avere gioco facile nel portare l'isola artica, geograficamente parte del Nord America, sotto l'egida politica degli Stati Uniti, completando una transazione che avrebbe di fatto definitivamente spalancato a Washington le porte del Polo, catapultando gli Usa al centro di una geopolitica artica inquadrata fra le maggiori sfide a livello globale del prossimo futuro. Il fatto imprevisto è stato forse l'orgoglio imprevisto della piccola comunità groenlandese (poco meno di 56 mila persone, 17.316 nella sola capitale Nuuk) e, soprattutto, l'accondiscendenza danese nel concedere totale voce in capitolo alle autorità locali: “La Groenlandia – ha detto Mette Frederiksen – non è in vendita. La Groenlandia non è danese. La Groenlandia appartiene alla Groenlandia”. Colpito e affondato il presidente americano che, vista la celerità nel disdire l'incontro a Copenaghen, aveva probabilmente posto la questione “Greenland” come tema centrale del bilaterale.
La sfida artica
Smentite, dunque, le voci che parlavano della cessione dell'isola agli Stati Uniti come di un buon affare anche per la Danimarca che, di fatto, considera la Groenlandia uno Stato a tutti gli effetti, nonostante rientri come territorio sotto la corona del Regno danese. Il che, in sostanza, toglie al Tycoon la possibilità di un importante colpo a effetto di fine mandato e, al tempo stesso, di piazzare un grosso colpo in virtù della sfida per l'Artico che, tra sostenibilità e geostrategia, si presenta come un territorio spartiacque dei futuri equilibri mondiali e, per questo, al centro di una delicata partita a scacchi fra le potenze che si affacciano sul Mar Glaciale. Un quadro geopolitico che, per il momento, continuerà a vedere la Groenlandia come giocatore libero, come peraltro ribadito implicitamente dalla Commissione europea che “sottoscrive e sostiene in pieno la posizione espressa dalla premier danese e dal governo della Groenlandia”, chiudendo definitivamente la questione. Decisamente più urgente, al momento, parlare dell'isola per altre tematiche. Il cambiamento climatico è sicuramente una di queste.