“Le donne in passato portavano i cammelli, è giusto che guidino l’auto“. Lo ha detto principe Faisal Bin Abdullah, ministro dell’Istruzione dal 2009 al 2013. “Le donne sono la base della nostra società e ricoprono un ruolo significativo nella civiltà islamica”, ha aggiunto il nobile in un’intervista a Khlijia Tv sottolineando che “il divieto di guida alle donne, ci è stato imposto”. L’Arabia Saudita è l’unico paese al mondo dove le donne non possono portare l’automobile. “Rappresentano più della metà della nostra società e sono un punto riferimento importante“, ha detto.
Ma un passo in avanti (almeno nel dibattito politico) sul piano dei diritti e delle libertà fondamentali non cancella alcune censurabili pratiche ancora previste dall’ordinamento saudita. Una su tutte: la pena di morte. E’ di questi giorni la denuncia di alcuni attivisti della decisione di una corte d’appello di Riad con la quale sarebbe stata confermata la condanna all’estremo supplizio per il 23enne Munir al Adam, un ragazzo disabile con problemi di vista e di udito, accusato di sedizione per aver partecipato nel 2016 a manifestazioni anti-governative.
Finora non si hanno commenti ufficiali da parte delle autorità saudite, né è possibile verificare in maniera indipendente la notizia riferita dagli attivisti. L’organizzazione umanitaria internazionale Reprieve, basata a Londra e con uffici negli Stati Uniti e in altri Paesi, fa sapere che il giovane era stato arrestato e malmenato dalla polizia l’anno scorso in seguito a proteste nella regione nord-orientale di Qatif a maggioranza sciita. Le percosse subite da Adam, afferma Reprieve, sono state inflitte nonostante gli agenti fossero al corrente che il fermato aveva seri problemi alla vista e all’udito. La sentenza di condanna a morte decisa l’anno scorso è stata ora confermata in appello, afferma Reprieve.