Per la prima volta nella storia dei regimi comunisti, la Cina sembra destinata a non raggiungere gli obiettivi fissati dal piano quinquennale in vigore, varato nel 2011 e in scadenza alla fine del 2015. Secondo gli economisti nazionali il motivo principale alla base del fallimento, oltre alla crisi economica internazionale, è la scelta di “puntare sulla qualità dei prodotti e non soltanto sulla crescita economica”. Tuttavia, altri analisti ritengono oramai obsoleti e inattuabili i piani quinquennali, che non tengono conto delle oscillazioni macro-economiche.
Secondo il ministro cinese del Commercio Gao Hucheng, il giro d’affari relativo ai beni materiali crescerà del 3,5% nel prossimo anno, mentre quello relativo ai servizi aumenterà di “più del 10%”. Previsto un picco di investimenti stranieri non finanziari pari a 120 miliardi di dollari americani, mentre i capitali cinesi all’estero toccheranno i 100 miliardi. Per quanto enormi, i numeri sono stati modificati nello scorso fine settimana: fino al 26 dicembre, infatti, erano visibili sul sito ufficiale del dicastero le statistiche previste dal piano quinquennale, e maggiorate del 5%.
Secondo le cifre previste nel 12mo piano quinquennale cinese, infatti, per il periodo Pechino puntava a un giro commerciale totale pari a 4,8mila miliardi di dollari, con una crescita economica annua del 10% di media. Inoltre la media degli investimenti stranieri diretti in Cina era pari a 120 miliardi di dollari, mentre per i capitali esteri si pensava a un totale di 560 miliardi. Una prova ulteriore del rallentamento economico viene dal calo del 4,2% nei profitti industriali registrato in novembre (rispetto all’anno precedente): è la diminuzione più significativa del settore dall’agosto 2012, che a sua volta ha messo pressione alla Banca centrale per rilassare le condizioni relative ai prestiti.