Ha fatto presa il messaggio per l'ambiente di Greta Thunberg, tanto da riportare a galla diverse emergenze globali dal punto di vista climatico, rimaste finora accantonate o, semplicemente, inquadrate come urgenze territoriali, troppo lontane dai dibattiti della Comunità internazionale per essere contestualizzate nel quadro più ampio del Global Climate Strike. Kiribati, da questo punto di vista, rappresenta un caso limite: lo Stato insulare dell'Oceania, infatti, è stato fra i primi ad aderire al Friday for Future che ha aperto la nuova stagione di proteste contro il riscaldamento globale, e non solo per l'interesse nazionale nel garantire la tutela del paesaggio da favola degli atolli. Numerosi studi condotti negli ultimi anni, infatti, hanno formulato previsioni quasi apocalittiche per l'arcipelago gilbertese che, a strettissimo giro, potrebbe costituire una delle prime vittime dell'innalzamento del livello dei mari.
Appello gilbertese
Non è un caso che l'ondata odierna delle proteste dei giovani di Kiribati sia stata accompagnata da uno slogan ben preciso: “Non stiamo affondando, stiamo combattendo”. Un termine, quest'ultimo, che ben rispecchia la passione degli abitanti locali nel voler proteggere le isole su cui sono nati, minacciate da un processo geologico che il cambiamento climatico in atto, tra riscaldamento e scioglimento dei ghiacci, rischia di accelerare sensibilmente, tanto da spingere alcuni studiosi a ipotizzare che entro 25 anni buona parte del territorio gilbertese (almeno il 36%) sarà sott'acqua. Un allarme ben più concreto di quanto si pensi visto che alcuni piani di evacuazione (soprattutto verso le Figi e le Isole Marshall) sarebbero già stati concepiti dal governo locale. Anche per questo le autorità hanno lanciato un nuovo appello nel giorno in cui l'eco della protesta di Greta Thunberg ha alzato nuovamente il suo volume, schierandosi al fianco dei giovani con un intervento da parte del vicepremier a Vanuatu, a Port Vila, dove centinaia di ragazzi, affiancati da molti bambini in abiti tradizionali provenienti dalle Isole Salomone, hanno manifestato in strada contro l'emergenza clima, mentre le istituzioni denunciavano la mancanza di una mobilitazione internazionale a sostegno della popolazione.
Inversione di marcia
Stando agli studi effettuati sull'arcipelago di Kiribati, la conformazione delle 33 isole non aiuterebbe nel contrasto al rischio inabissamento, dal momento che quasi nessuna (tranne Banaba) è in possesso di argini naturali che possano in qualche modo contrastare l'innzalamento delle acque. Mancando quindi una soluzione concreta, l'unica possibilità risiede proprio nella sensibilizzazione sul tema ambientale, visto che una riduzione delle emissioni fossili e il rallentamento del riscaldamento globale potrebbero quanto meno posticipare lo scenario prospettato per lo Stato oceaniano. Una nazione che, per posizione geografica e tradizione, non possiede mezzi efficaci per contrastare un'emergenza che, solo negli ultimi anni, è stata compresa in tutta la sua gravità. Forse troppo tardi per i centomila abitanti gilbertesi, per i quali solo un sensibile arresto dell'effetto serra potrebbe impedire (per ora) un esodo di massa verso altri lidi. Ovviamente in attesa, se l'inversione di marcia non ci sarà, che il dramma si ripeta.