Kim Jong-un, missili e nucleare. Una partita che la Corea del Nord sta giocando dal 2006, quando leader era il padre di Kim, Jong-il, iniziò i primi test a cui l’Onu non ha trovato di meglio che rispondere con le sanzioni da sempre aggirate da Pyongyang. Il livello negli anni si è sempre alzato, sino ad arrivare a provocare un vero e proprio terremoto di magnitudo 5.1.
Kim in realtà gioca le due partite su un unico tavolo: la possibilità di colpire il nemico. Che sia con missili a lunga gittata (test missilistici sono stati effettuati anche dai sottomarini) o con armi nucleari ciò che vuole dimostrare è di poter far male. E mentre la Corea del Nord continua a voler mostrare la sua forza, la Corea del Sud prosegue con la retorica di minacce, tanto da annunciare di poter radere al suolo Pyongyang in caso proseguissero i test missilistici.
Che invece proseguono eccome, anche se con alterne fortune. Nel fine settimana uno di questi si è rivelato un fallimento: il vettore, con ogni probabilità il fantomatico Musudan a medio raggio ‘made in Dprk’, è stato lanciato intorno alle 12:33 (le 5:33 in Italia) dalla città di nordovest di Kusong, vicino ai siti militari di Sohae e Dongchang-ri, ed è subito esploso. Il Comando strategico Usa (Usstratcom) ha ufficializzato per primo l’ultima provocazione di Pyongyang che da inizio 2016 ha testato più di una ventina di vettori violando le risoluzioni Onu che sanciscono a suo carico il divieto totale dell’utilizzo di tecnologia missilistica.
Il tentativo nordcoreano costituiva una palese minaccia per il Nord America. Registrato il fallimento, gli Usa ora chiedono alla “comunità internazionale” di “risolvere la questione delle attività proibite del Nord”. Dello steso tenore la reazione del Giappone, accompagnata dall’impegno a una collaborazione stretta e allo scambio di informazioni con gli Usa. Persino la Cina, storicamente vicina a Kim, dopo il test nucleare che ha provocato un sisma ha preso le distanze.
La Corea del Nord da parte sua, accusa Seul di aver ripetutamente violato le sue acque territoriali nel mar Giallo, mettendo in atto «convulse provocazioni militari». Le intrusioni di Seul, denuncia l’agenzia ufficiale nordcoreana Kcna, sono state effettuato quasi ogni giorno a ottobre, con picchi il 13 e il 14, sotto la regia del ministero della Difesa e dell’Ufficio presidenziale al fine di provocare «una reazione di Pyongyang.
Il braccio di ferro prosegue, e il dittatore bambino (al potere da quattro anni, dopo la morte del padre Kim Jong-Un), continua nel segno del credo militarista, autarchico e ultranazionalista: combatte la sua guerra contro la Corea del Sud, gli Stati Uniti e il capitalismo. E non sembra aver alcuna intenzione di fermarsi. A prescindere da sanzioni internazionali o fallimenti balistici.