L'uomo che viaggia e non conosce ancora la città che lo aspetta lungo la strada, si domanda come sarà la reggia, la caserma, il mulino, il teatro, il bazar”. Questo stesso interrogativo che accompagnava Marco Polo nel corso delle sue ambascerie nell'immenso regno di Kublai Kan, come racconta Italo Calvino ne 'Le città invisibili', è stato un pensiero costante mentre percorrevo le oltre sette ore di volo che dividono Roma da Astana, la Capitale del Kazakistan. Uno stato “giovane”, incastonato fra il Tien Shan e il Bassopiano sarmatico, nato dalla disgregazione dell'Urss e alla ricerca di un'identità che, allo stesso tempo, riesca a unire le sue radici asiatiche al desiderio di “europeizzazione”.
Il Kazakistan è un territorio enorme (con i suoi 2,7 milioni di chilometri quadrati è al nono posto tra gli Stati più vasti del pianeta), attraversato da catene montuose e deserti, costellato di città moderne e villaggi rurali dove passato e presente si intrecciano senza sosta. Mentre sorvolavo il lungo confine che lo divide dalla Russia (ben 6846 chilometri, che lo rendono uno dei più lunghi del globo, secondo solo a quello tra Canada e Stati Uniti), mi sono chiesto quanto e cosa avrei ricavato da questo viaggio: un press tour internazionale (25 giornalisti provenienti da 14 diverse nazioni) alla scoperta delle origini e delle caratteristiche della cultura di un Paese che si sta aprendo al mondo.
Un nuovo alfabeto
Il segno più evidente di questa apertura è la decisione, da parte dello Stato, di abbandonare l'alfabeto cirillico, introducendo al suo posto quello latino. Una scelta dettata da diversi fattori. La globalizzazione, il ruolo di crocevia tra est ed ovest e le numerose ricchezze di materie prime nel sottosuolo hanno richiamato in Kazakistan aziende e multinazionali con manager provenienti da ogni parte del globo. Secondo fonti diplomatiche, sono circa 900 gli italiani che ogni anno si alternano a lavorare nelle industrie e nelle sedi delle grandi ditte del petrolio e dell'energia che lavorano con le più moderne tecnologie che, di base, utilizzano un linguaggio informatico scritto in lingua inglese. Anche i poeti e i filosofi kazaki sono contenti ed entusiasti del passaggio all'alfabeto latino. Gli intellettuali, infatti, sono convinti che la loro cultura, che ha comunque subito l'influenza del pensiero sia occidentale che orientale, possa offrire qualcosa di nuovo alle altre nazioni. E quale mezzo di comunicazione migliore dell'alfabeto latino e della lingua inglese per farlo? Al momento, in Kazakistan, si parlano il kazako e il russo; l'uso dell'inglese è sempre maggiore soprattutto nelle grandi città. La vera sfida che attende il Paese dal 2025, anno in cui si procederà ufficialmente al passaggio all'alfabeto latino, sarà nei villaggi e nelle località rurali, dove l'identità culturale e nazionale è molto forte.
Ma la più grande novità che sta portando l'introduzione dell'alfabeto latino è il cambio del nome dello Stato: da Kazakhstan in Qazaqstan. Naturalmente questo passaggio non avviene con la bacchetta magica e presso la Biblioteca Nazionale di Astana è stata istituita una commissione incaricata di cambiare l’alfabeto kazako e organizzare gradualmente il passaggio ai caratteri latini entro il 2025.
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Astana, una rosa tra i ghiacci
Al mio arrivo, su Astana imperversa una violenta tempesta di neve. Sono le quattro del mattino; nei circa venti minuti che separano l'aeroporto dall'albergo, rimango estasiato nell'ammirare gli imponenti grattacieli che compongono quella che è considerata la seconda Capitale più fredda del mondo (la temperatura qui scende fino a meno quattordici gradi sotto zero). Si fatica a capire dove finisca la periferia e inizi il centro: i palazzi, a prima vista tutti uguali, sorgono a circa duecento metri l'uno dall'altro. Le forme sinuose delle cupole dorate delle moschee si alternano alle dritte e fluorescenti pareti dei grattacieli, illuminati giorno e notte dalle pubblicità e dai led dei maxi-schermi. Quando sorge il sole un soffice manto bianco ricopre la città. Astana, parola che in kazako significa letteralmente “Capitale”, fin da subito si mostra per ciò che è: una città moderna, completamente nuova. Venne fondata nel 1824 da un gruppo di cosacchi siberiani sulle rive del fiume Išim. Inizialmente era una piccola fortezza che, lentamente, ha iniziato a svilupparsi fino a diventare, nel XX secolo, un importante nodo ferroviario, favorendo una grande espansione economica, che durò fino alla guerra civile russa. Il titolo di “Capitale” arriverà, tuttavia, solo nel 1994, quattro anni dopo l'indipendenza del Kazakistan dalla Russia. Il nome Astana, invece, venne ufficialmente adottato nel 1998. Prima di allora la capitale era ad Almaty, situata nel sud del Paese, ai confini con il Kirghizistan. Diverse furono le ragioni del trasferimento, prima fra tutte quella di porre la Capitale al centro del Paese. Lo stesso presidente Nursultan Nazarbayev ha dichiarato di ricalcare le orme del suo statista ideale Atatürk, che spostò la capitale turca ad Ankara, nel centro della penisola anatolica.
La sua posizione geografica l'ha resa un ponte naturale tra Europa e Asia, ed è anche per questo motivo che i palazzi di questa città sono stati ideati con un nuovo e speciale stile architettonico che combina tradizioni culturali sia dell'est che dell'ovest. Un esempio ne è l'International Finalcial Centre: un lungo viale che collega il palazzo presidenziale ad un grande giardino sul quale si affacciano il Teatro dell'Opera e il Khan Shatyr Entertainment Center, un moderno centro commerciale sormontato da un cono alto 150 metri. Al centro del viale si erge la Bayterek Tower, un monumento ricco di simboli: rappresenta l’albero della vita che accoglie tra le sue fronde il nideo dell'homa, un uccello mitologico che conduce la felicità. La sfera dorata che ne orna la cima rappresenta un uovo, elemento che ricorda l’inizio della vita. La sua altezza, 97 metri, rimanda all'anno in cui Astana è stata scelta come Capitale del Kazakistan.
Passeggiando tra le vie, le bellezze antiche emergono con prepotenza tra una banca e un albergo: tra i rami spogli degli alberi che decorano le piazze compaiono guglie e minareti, i cui colori vengono riflessi dalle finestre a specchio dei grattacieli che ospitano multinazionali e le grandi ditte del petrolio. Il Museo Nazionale ne è un esempio lampante: un'immenso edificio moderno, strutturato su più livelli, al cui interno si intraprende un incredibile viaggio alla scoperta della storia del Paese, dall'età del bronzo fino ai nostri giorni. Non è il solito museo che ci si aspetterebbe di visitare: ologrammi, schermi touch screen e proiettori danno vita ai reperti esposti lungo le pareti nelle teche. La medesima cosa accade nei grandi padiglioni che compongono l'Esposizione Universale (Expo) ospitata proprio in Astana nel 2017 sul tema dell'energia.
Ma quello che più colpisce non è tanto il freddo pungente o l'imponenza dei grattacieli, quanto la passione e il calore che le persone esternano nel raccontare la storia della propria nazione: gli occhi di giovani e anziani, di donne e uomini brillano di gioia quando gli si domanda qualcosa sui loro usi e costumi. Con il cuore in mano parlano delle loro tradizioni, delle storie di epiche battaglie che i loro nonni narravano accompagnandosi con le melodie del dombra, tipico strumento musicale del Kazakistan simile, nella forma, ad un mandolino. Per dirla con le parole del Marco Polo di Calvino, Astana è una città “che chi l'ha vista una volta non può dimenticare. Il suo segreto è il modo in cui la vista scorre su figure che si succedono come in una partitura musicale nella quale non si può cambiare o spostare nessuna nota”.
Un angolo di cielo in mezzo alla steppa
La seconda tappa del viaggio è nella regione del Sud Kazakistan, a Shymkent. Da qui, con un pulmino si fa rotta verso quello che potrebbe essere considerata “La Mecca del Kazakistan”: si tratta del mausoleo di Khoja Ahmed Yasawi. Nel 2002 è diventato il primo sito kazako ad essere inserito nell'elenco dei siti dell'Unesco. Quello che si può ammirare oggi, e che a me è apparso imbiancato dalla neve, è un'immensa struttura commissionata nel lontano 1389 da Tamerlano, noto condottiero turco-mongolo, per rimpiazzare un più piccolo mausoleo risalente al XII secolo e dedicato al famoso maestro sufi Khwaja Ahmad Yasavi, fondatore della Yasawiyya, una confraternita islamica. Ad edificarlo furono le maestranze persiane guidate da Khwaja Hosein Shirazi che eressero un edificio rettangolare alto 39 metri costruito in ganch, ovvero mattoni cotti misti a malta e argilla. A coronare la struttura quella che ad oggi è ancora la più grande cupola mai costruita in Asia centrale. Larga 18,2 metri di diametro e alta 28 metri, è decorata con tegole colorate. Il mausoleo, uno dei più grandi dell'epoca, venne lasciato incompiuto in seguito alla morte di Tamerlano. La poca cura dei sovrani successivi, unita alla costruzione di una cinta muraria, hanno permesso che questa struttura sia giunta ai nostri giorni praticamente intatta.
In molti si recano qui anche per pregare. In Kazakistan la maggior parte della popolazione è di fede islamica, ma non mancano minoranze cristiane o di altri credi. In tutto il Paese convivono pacificamente oltre 130 gruppi etnici appartenenti a 20 fedi differenti. Segno evidente che “la pacifica e fruttuosa convivenza tra persone e comunità appartenenti a religioni diverse è non solo auspicabile – come disse Papa Francesco -, ma concretamente possibile e praticabile”.
Almaty e le “montagne celestiali”
Dopo esserrmi lasciato alle spalle Shymkent, ho raggiunto Almaty, la “Milano del Kazakistan”. Il suo nome significa letteralmente “città delle mele”, frutto che in queste terre cresce abbondante. Il paragone con la metropoli lombarda è dovuto al fatto che questa città, proprio come il capoluogo meneghino, è il centro economico e commerciale del Paese: industrie agricole, alimentari e meccaniche hanno qui la loro sede. Non solo. Accanto ai grandi impianti sportivi, costruiti per ospitare grandi manifestazioni internazionali come i Giochi Olimpici Invernali e le Universiadi, sorge il “Centro delle Arti del Kazakistan”, dove mani sapienti realizzano artigianalmente stoffe, quadri e attrezzi da lavoro come si faceva un tempo. Gli anziani insegnano ai giovani a cesellare l'argento che andrà poi a decorare un'ascia celebrativa o la fibbia di una cintura; donne mature, armate di ago e filo, trasmettono alle bambine l'arte della tessitura, mentre altri giovani apprendono quella della ceramica dalle medesime signore.
Ma ad Almaty, a farla da padrone, sono le “montagne celestiali”: questa città, infatti, sorge alle pendici del Trans-Ili Alatau, la parte più settentrionale della catena montuosa del Tien Shan. Su questi pendii sorge una stazione sciistica specializzata nello sci nordico. Ma la funivia che collega la città alla vetta è aperta anche a chi vuole farsi una semplice passeggiata sulla neve. L'impianto di risalita conduce fino a 3000 metri. Quando sono giunto a quell'altitudine un mix di emozioni e pensieri iniziarono a passarmi per la testa: la bellezza selvaggia e incontaminata di quei ghiacciai, mista al grande silenzio che solo sulle alte vette regna sovrano, mi hanno fatto capire il perché quelle montagne sono definite “celestiali”. Guardandosi attorno, infatti, non si può che giungere ad una conclusione: qui si è davvero ad un passo dal paradiso.