La famiglia Bush prepara l’atto terzo. Dopo George senior e George W. a scendere in campo per la Casa Bianca è l’ultimo rappresentante della dinastia texana: Jeb. L’annuncio della candidatura è arrivata ieri al Dade College di Miami, dove si è presentato in maniche di camicia e senza cravatta. “Ho deciso – ha detto – sono un candidato per la presidenza degli Stati Uniti d’America”. “Il nostro Paese si è incamminato su una strada sbagliata”, ha avvertito Bush promettendo di impedire a Washington, “la statica capitale di un dinamico Paese”, di fare altri danni.
Rivendicando i suoi successi come governatore della Florida, ha dunque snocciolato ambiziosi target economici con un tasso di crescita annua del 4% “e 19 milioni di nuovi posti: so che si può fare – ha assicurato – perché io l’ho fatto”. Bush ha dunque promesso di semplificare la tassazione, di tagliare il debito federale e una politica estera più aggressiva in grado di contrastare la forza crescente di Isis. “La presidenza non deve passare da un liberale all’altro – ha attaccato – l’America merita di meglio. Loro hanno proposto un’agenda progressista che comprende di tutto tranne che il progresso. Sono responsabili della più lenta crescita economca della storia e del piu’ alto aumento delle tasse mai registrato”.
Obama, second Bush, è stato così ansioso di “fare la storia” che si è dimenticato “di fare la pace”, lasciando in eredità crisi incontenibili ed alleanze instabili. “Abbiamo bisogno di un presidente americano che vada a l’Avana per solidarietà nei confronti un popolo cubano libero – ha incalzato – e sono sono pronto ad essere quel presidente”. Il suo discorso è stato costantemente interrotto dagli applausi e da slogan di incitamento, come “Jeb go”. Come anticipato, Jeb Bush si è rivolto alla folla in spagnolo, omaggiando la moglie messicana e puntando direttamente all’elettorato latino. “Sarò ottimista in ogni lingua – ha concluso – e non darò nulla per scontato. Correrò con il cuore e con il cuore vincerò”.