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Israele: migranti senza diritti. Tra prigione e disperazione

Fuggono dal loro paese nella speranza di una vita migliore. Sono soprattutto sudanesi ed eritrei, che attraverso l’Egitto arrivano ad Israele con il desiderio di poter poi proseguire verso l’Europa o l’Australia. Invece una volta arrivati nello stato ebraico le loro possibilità di una vita migliore cessano di esistere.

Secondo l’organizzazione non governativa Human Rights Watch, una volti arrivati a Tel Aviv, i migranti si scontrano con una realtà ben più dura di quello che possono aspettarsi: infatti una legge israeliana del 2013 prevede che i clandestini vengano incarcerati per un periodo di un anno, al termine del quale ci sarebbe il rimpatrio. Per gli eritrei, in particolar modo, significherebbe ritornare sotto un regime estremamente duro o di essere deportati in campi di concentramento o di subire torture.

Secondo l’ong sarebbe almeno 7000 i migranti che subiscono abusi e illegalità da parte delle autorità israeliane, inoltre circa il 99,9% delle domande di asilo presentate sarebbero state respinte. Il governo di Nethanyau si giustifica comunicando che si tratterebbe di migranti economici e non perseguitati politici. A causa della disperazione e della paura, molti di questi immigrati si rivolgono ai trafficanti israeliani, pagando anche sei mila dollari pur di riuscire a lasciare il paese senza essere incarcerati o rimpatriati.
A giugno alcuni rifugiati africani hanno osservato uno sciopero della fame come forma di protesta contro le condizioni disumane del campo profughi dove erano detenuti.

Manuela Petrini

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