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Israele: confermati i 18 mesi per il soldato che uccise un palestinese a Hebron

La Corte Marziale di Tel Aviv ha respinto il ricorso di Elor Azaria, il sottufficiale che a gennaio era stato condannato per l’omicidio colposo di un assalitore palestinese, già ferito e a terra. I cinque giudici hanno confermato la pena di 18 mesi di carcere. Verso di lui hanno usato parole pesanti. Hanno ribadito che gli spari non erano giustificati e che Azaria uccise l’assalitore palestinese Abdel Fatah al-Sharif “per vendetta”. Essendo questi già ferito – hanno insistito – andava risparmiato. Anche nei Territori occupati – hanno ribadito i giudici, alti ufficiali con esperienza di combattimento – la vita dei palestinesi ha valore e va salvaguardata quando possibile.

L’episodio in questione avvenne a Hebron, Cisgiordania, nel marzo 2016. Due assalitori palestinesi attaccarono una pattuglia militare. Uno fu ucciso subito dal fuoco di reazione. Il secondo rimase agonizzante sull’asfalto. Undici minuti dopo Azaria sopraggiunse sul posto, e gli sparò a bruciapelo un proiettile alla testa. “Temevo avesse un corpetto esplosivo, che stesse per attivarlo”, avrebbe spiegato dopo. Ma i tre giudici militari della prima istanza e i cinque dell’appello non gli hanno creduto. Il caporale, a loro parere, sapeva di mentire e aveva inventato quella giustificazione a posteriori.

Con questo processo, concordano gli analisti, i vertici dell’ esercito hanno voluto evidenziare agli israeliani che la disciplina è un prerequisito irrinunciabile nella conduzione di attività militari fra la popolazione palestinese nei Territori, e che senza di essa – come disse l’ex ministro della difesa Moshe Yaalon – i soldati rischiano di diventare “falangisti“. I responsabili dell’esercito si sono così confrontati con esponenti politici populisti e con rabbini nazionalisti che – mentre infuriava l’intifada dei coltelli – dicevano ai soldati che nessun assalitore doveva mai restare in vita.

I cinque giudici della Corte Marziale hanno letto per ore, in diretta tv, una sentenza inequivocabile secondo cui esiste una sola disciplina militare. E chi l’ha infranta, va in carcere. Azaria è stato condannato per omicidio colposo, ma due giudici di minoranza lo ritenevano invece colpevole di omicidio volontario. E i familiari del palestinese ucciso hanno detto ai media di non essere affatto sorpresi dalla mitezza della sentenza, polemicamente rilevando come i palestinesi, per il solo lancio di pietre, ricevano pene ben più severe.

Nel frattempo la classe politica israeliana è passata al contrattacco, presumibilmente per assecondare gli umori dell’opinione pubblica. Il premier Benyamin Netanyahu e il ministro della difesa Avigdor Lieberman si sono subito pronunciati a favore di un perdono per il caporale. L’avvocato difensore ha preannunciato che si rivolgerà alla Corte Suprema. Se ciò non avvenisse, Azaria potrebbe chiedere clemenza al Capo di Stato maggiore gen. Gady Eizenkot. Questi allora si troverebbe in una situazione non invidiabile: stretto fra la Corte Marziale che ha confermato la necessità di una pena severa, e il ministro della difesa, che propone invece di annullarla, almeno in parte.

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