Il nostro mondo è dominato dai mezzi di comunicazione di massa e questi ultimi, sempre di più, appaiono essere la strategia centrale di tutti i gruppi terroristici del mondo. Anche di quelli in ascesa, come l’Isis.
La propaganda degli jihadisti da qualche tempo è approdata in un nuovo magazine: Dabiq. La rivista on line, pubblicata in diverse lingue europee, è uno dei principali strumenti attraverso i quali gli uomini del Califfo al-Baghdadi si muovono per radicalizzare e reclutare giovani da tutto il mondo, soprattutto nei paesi occidentali.
Sul Washington Post si legge che secondo il magazine è giunto il momento dell’Apocalisse dopo secoli di guerra santa. La battaglia dell’Isis in Iraq e Siria è descritta come la continuazione di una lotta per la civilizzazione.
Lo Stato Islamico sa utilizzare i social network e il suo modello di comunicazione è rivolto soprattutto ai giovani: migliaia di ragazzi occidentali nati e cresciuti a Londra, Bruxelles, Parigi o Berlino, sono arrivati in Siria ed Iraq per combattere sotto le insegne del sedicente Califfato soprattutto grazie ad internet. Centinaia di followers postano continuamente aggiornamenti, fotografie, video in moltissime lingue, i n modo da poter reclutare alleati anche dove non si parla la lingua di Maometto.
Inoltre, un’altra differenza che permette all’Isis di superare la propaganda grezza che era quella di Al Qaeda è fatta dalla coerenza e la correttezza delle informazioni: le news raggiungono il centro stampa degli jihadisti molto prima di quanto giungano sulle altre agenzie, e la coerenza è uno dei fattori chiave del loro modello di comunicazione. Si fa infatti leva sulla carità islamica, la zakat, che da obbligo nei confronti dei poveri, e le esecuzioni sono giustificate come atti di giustizia nei confronti di stupratori o rapinatori di Assad o Maliki.