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Iraq: pena di morte ai soldati che non combatterono l’Isis

Rischiano la condanna a morte per tradimento i soldati dell’esercito iracheno che lo scorso giugno si sono ritirati davanti all’avanzata dei miliziani dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (Isis) a Mosul, importante città nel nord dell’Iraq. Lo ha dichiarato il ministro iracheno della Difesa Khaled al-Obedi, spiegando che i militari indagati non hanno protetto la città di Mosul dall’Isis come avrebbero dovuto. In base all’articolo 29 del Codice penale militare iracheno rischiano ora di essere accusati di tradimento e giustiziati. “Abbiamo avviato le indagini. Quando saranno concluse la magistratura irachena sentenzierà” ha dichiarato il ministro della Difesa.

“Un gran numero di comandanti dell’esercito si sono ritirati dal fronte di battaglia dando così all’Isis l’opportunità di prendere il controllo di gran parte dei territori – ha spiegato Obeidi alla stampa – ecco perché abbiamo deciso di riconoscere responsabili i comandanti dell’esercito che avrebbero dovuto proteggere le loro zone. In base all’articolo 29 potrebbero essere giustiziati per tradimento”. Lo scorso novembre il primo ministro iracheno Haider al-Abadi aveva licenziato 26 funzionari e obbligato al pensionamento altri 10 dirigenti nell’ambito di un rimpasto nell’esercito dovuto proprio alla caduta di Mosul. Ora “Le forze della sicurezza irachena hanno rafforzato i loro fronti e stanno avanzando per riconquistare i territori che sono ancora sotto il controllo dell’Isis – ha affermato il ministro – Mi auguro che il nuovo anno possa portare prosperità al popolo iracheno nella lotta contro l’Isis e che gli sfollati tornino presto a casa”.

L’attuale sistema giuridico iracheno è in parte basato sulla legge islamica, la tradizione giuridica irachena e la legislazione occidentale. Durante il regime di Saddam la pena di morte era in vigore per centinaia di reati, anche non violenti; erano in vigore anche molte altre forme di punizione e praticata legalmente la tortura. Durante il protettorato americano fu abolita la pena di morte, ma durante la guerra si registrarono numerose violazioni dei diritti umani. La pena capitale per impiccagione venne ripristinata dal nuovo governo iracheno nel 2005 relativamente a reati come l’omicidio, lo stupro, il terrorismo, il traffico di droga e i crimini contro l’umanità; l’ex dittatore Saddam Hussein fu giustiziato nel 2006 proprio per quest’ultimo crimine. Le esecuzioni capitali – ufficialmente riprese nell’agosto del 2005 – sono state almeno 472 da allora fino all’11 novembre 2012, la gran parte per fatti di terrorismo.

Il Rapporto 2014 dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” sulla pena di morte nel mondo ha mostrato che, nel 2013, il boia ha compiuto in Iraq 172 esecuzioni, quasi tutte per terrorismo, la cifra più alta dall’invasione USA del 2003. Già nell’aprile del 2012, il Segretario-Generale dell’ONU Ban Ki-moon aveva dichiarato di essere “preoccupato per la crescente applicazione della pena di morte” in Iraq. “Chiedo alle autorità irachene di introdurre una moratoria sulla pena capitale”, aveva concluso il Segretario-Generale dell’Onu. Il 20 dicembre dello stesso anno l’Iraq aveva però votato contro la risoluzione per una moratoria delle esecuzioni capitali all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

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