Solo Dio sa cosa è successo”. La voce di Tahsin Kheder, raccolta da Middle East Eye, è quella degli yazidi sopravvissuti alla pulizia etnica portata avanti dall'Isis nei quattro anni di occupazione della regione di Sinjar. Un'operazione spietata che ha provocato, secondo l'Onu, la scomparsa di almeno 11 mila persone, tra quelle massacrate (circa 5 mila) e quelle ridotte in schiavitù e poi vendute (6 mila, soprattutto donne e bambini).
Fosse comuni
Oggi che la tempesta è passata, della minoranza linguistico-religiosa resta poco: rovine e ricordi. Questi ultimi affidati ai profughi che popolano i numerosi campi rifugio iracheni. Come quello di Dohuk, dove oggi Tahsin vive, continuando a chiedersi quale destino sia toccato al fratello Khairy (25 anni), svanito nel nulla dopo aver lasciato la zona montuosa nella quale si era rifugiato per andare a cercare i suoi familiari. Il timore è che le milizie jihadiste lo abbiano catturato, giustiziato e poi scaricato dentro una delle fosse comuni riservate ai cadaveri dei perseguitati. Migliaia di corpi ammassati e poi sepolti, senza nome, non lasciando ai parenti nemmeno una tomba su cui piangere. “Non sappiamo cosa fare – spiega Tahsin – se cercarlo tra i vivi o fra i morti”.
Separati
E qui subentra il problema di ordine burocratico che aggiunge dolore al dolore. Il governo iracheno avrà sì sconfitto il Califfato e riacquistato la sovranità sulla regione, ma non ha ancora rilasciato le autorizzazioni necessarie per procedere all'esumazione delle salme. L'incertezza politica nel Kurdistan iracheno ha fatto il resto: fallito il referendum per l'indipendenza promosso nel 2017, l'esercito di Baghdad ha occupato militarmente la città di Sinjar, di cui le truppe curde avevano acquisito il controllo dopo la cacciata del Daesh. Oggi i sopravvissuti Yazidi vivono principalmente nel territorio amministrato dal governo regionale curdo, mentre le fosse comuni si trovano sotto la giurisdizione di Baghdad. Un muro virtuale separa, dunque, i morti dai loro cari, precludendo ogni ipotesi di ricongiungimento. “Non so dove sia la mia famiglia ormai da 4 anni, e non mi fanno andare dall'altra parte per cercare almeno di capire se siano vivi o no“, ha confidato un altro profugo yazida. “Se sapessimo che mio fratello è in una fossa comune – aggiunge Tahsin – staremmo meglio. Almeno smetteremmo di avere questo pensiero”.
Svaniti nel nulla
Secondo Lena Larsson, a capo del programma iracheno della Commissione internazionale persone scomparse (Icmp), al momento “non c'è quella cooperazione che vorremmo vedere”. Senza coordinamento, aggiunge, “ogni sforzo per raccogliere informazioni risulta vano. Se non lavorano insieme sarà impossibile identificare i corpi“. Uno dei problemi, aggiunge, è rappresentato dalla mancanza, in Iraq, di un sistema centralizzato per la ricerca degli scomparsi. Il governo di Baghdad, peraltro, ha ereditato una situazione difficile. All'appello, secondo le stime, manca circa un milione di persone, vittime non solo dell'Isis ma anche della stagione del terrore successiva alla seconda guerra del Golfo e del regime di Saddam Hussein.
La legge
Per ovviare, nel 2006, il parlamento iracheno ha approvato una legge che stabilisce le procedure da attuare per la riesumazione da fosse comuni. La normativa prevede, per ogni regione, la nomina di un magistrato che sovrintenda agli scavi. Dopo diversi mesi di incertezza la scelta del Consiglio giudiziario supremo (per Sinjar) è ricaduta su Ayman Mostafa, già capo della Commissione per le indagini e la raccolta delle prove. Era il 2016. Da allora nessuna delle 68 fosse comuni rinvenute a Sinjar è stata aperta. “Ci stiamo provando ma abbiamo le mani legate – denuncia Mostafa – alcune persone e Baghdad stanno cercando di vanificare gli sforzi del governo curdo su questo tema”. Allusione smentita, però, da Dheyaa Karem, che si occupa delle fosse comuni per conto dell'esecutivo di Baghdad. “Queste accuse continueranno, fanno parte della politica” commenta. A rallentare le operazioni, spiega, non è un presunto complotto anti curdo ma la carenza di risorse economiche. “Le fosse comuni degli Yazidi richiedono uno sforzo enorme e il mio dipartimento non riceve finanziamenti dal 2015. In ogni caso ho preso l'impegno morale a occuparmene e lo farò. Piaccia o meno al governo centrale o regionale”. Ma intanto il tempo passa e le condizioni dei corpi peggiorano, rischiando di precludere il riconoscimento. A ciò si aggiungono i saccheggi operati da bande di criminali locali. Di questo passo sarà impossibile rendere giustizia ai morti e ricostruire le responsabilità e le atrocità compiute dall'Isis.