Un 21enne, arrestato quando aveva 15 anni e condannato a morte un anno dopo, è stato impiccato a Shiraz, città dell’Iran meridionale. Si tratta di Alireza Tajiki, che era stato incriminato da un tribunale della provincia di Fars per aver violentato e ucciso un amico. Il processo, tuttavia, era stato viziato da gravi irregolarità, basandosi prevalentemente su confessioni che il giovane aveva denunciato di essere stato costretto a fare dopo aver subito diverse forme di tortura: pestaggi, frustate e sospensione con mani e piedi legati.
L’esecuzione è stata aspramente criticata da Amnesty International. “Procedendo a questa esecuzione sfidando i loro obblighi di diritto internazionale e la grande indignazione dell’opinione pubblica internazionale, le autorità iraniane hanno ancora una volta crudelmente mostrato di ignorare del tutto i diritti dei minori – ha commentato Magdalena Mughrabi, vicedirettrice di Amnesty per il Medio Oriente e l’Africa del Nord – Questa vergognosa azione segna una svolta per l’Iran e rivela la vacuità delle affermazioni secondo le quali l’Iran ha un valido sistema di giustizia minorile”.
Alireza Tajiki, ha continuato l’esponente di Amnesty, “è stato il quarto minorenne al momento del reato messo a morte quest’anno in Iran – ha proseguito Mughrabi -. La sua esecuzione, portata a termine nonostante avesse denunciato di essere stato costretto a confessare sotto tortura, conferma l’orrenda tendenza da parte delle autorità iraniane a mettere a morte persone arrestate quando erano minorenni, spesso al termine di processi profondamente iniqui”
Nel 2013 l’Iran ha parzialmente riformato il codice penale islamico per far fronte alle critiche della comunità internazionale sulla pena di morte inflitta ai minorenni. Tale modifiche consentono al giudice di sostituire l’estremo supplizio con una pena alternativa, nei casi in cui il minorenne, al momento della commissione del reato, “non avesse la maturità mentale” per comprendere la portata della sua condotta.