Zainal Abidin (Indonesia), Andrew Chan (Australia), Myuran Sukumaran (Australia), Rodrigo Gularte (Brasile), Silvester Obiekwe Nwaolise alias Mustofa (Nigeria), Raheem Agbaje Salami (Nigeria), Okwudili Oyatanze (Nigeria), Kemudian Martin Anderson alias Belo (Ghana), sono gli otto detenuti che sono stati fucilati nella notte in Indonesia. Tutti erano stati arrestati per reati collegati al traffico di stupefacenti, crimine per cui il sistema giudiziario indonesiano prevede la pena capitale. A nulla sono valsi gli appelli della comunità internazionale che sperava in un gesto di clemenza dell’ultimo minuto da parte del presidente indonesiano Joko Widodo, ma che non è arrivato. Il caso rischia di avere conseguenze sulle relazioni diplomatiche di Jakarta con i Paesi di provenienza dei condannati.
L’esecuzione del francese Serge Atlaoui è stata sospesa dopo l’intervento del presidente Francois Hollande il quale aveva minacciato pesanti conseguenze sui rapporti diplomatici tra i due paesi se il suo connazionale fosse stato giustiziato. L’uomo è ora in attesa del verdetto della Corte Suprema che dovrebbe arrivare entro due settimane. Anche una detenuta filippina è stata graziata all’ultimo minuto, in quanto una donna si è costituita alle autorità indonesiane dichiarando di averla assoldata come “corriere” e di essere lei quindi colpevole di traffico di droga.
Le possibili conseguenze internazionali non hanno fermato Widodo, eletto la scorsa estate e, paradossalmente, considerato il “buono venuto dal basso”. Il presidente ha giustificato la sua linea dura e decisa parlando del tema del narcotraffico come una “emergenza nazionale”, ha citato delle statistiche che gli esperti hanno considererebbero poco veritiere e ha intensificato la frequenza delle esecuzioni, riprese nel 2013 dopo una moratoria di quattro anni.
Lo scorso gennaio altri sei detenuti, tutti condannati alla pena capitale per reati collegati alla droga, sono stati giustiziati, cinque di loro erano stranieri. Anche in quell’occasione il presidente Widodo non si era curato delle complicazioni relazionali in cui sarebbe potuto incorrere e, infatti, i rapporti con Brasile e Olanda si erano deteriorati. Nel braccio della morte del carcere di Jakarta ci sono altri 64 detenuti, in gran parte stranieri, condannati alla pena capitale per traffico di stupefacenti e per i quali Joko Widodo ha già escluso la grazia.